Il lato cattolico del Risorgimento

Unità d’Italia. Intervista al rettore della Lumsa

Il 17 marzo si celebra il 150° dell’Unità d’Italia. Per l’occasione il presidente della Cei, card. Bagnasco, presiederà una messa nella basilica di santa Maria degli Angeli a Roma. “Non devono stupire il sostegno e la sottolineatura della Chiesa a questo significativo anniversario”, ha detto Giuseppe Dalla Torre, giurista e rettore della Lumsa. Lo abbiamo intervistato. Il Risorgimento è nato in ambito principalmente anticlericale, eppure oggi sono proprio i cattolici i maggiori sostenitori del 150° dello Stato unitario. Perché? “Non esiste solo un Risorgimento ‘scomunicato’. Indubbiamente c’è stato un serio conflitto tra Stato e Chiesa, ma insistervi eccessivamente – come spesso ha fatto la storiografia – conduce ad una lettura parziale che non fa cogliere a pieno la profondità e complessità dei processi che hanno portato all’Unità, e fa dimenticare quel moto risorgimentale cattolico, che conta esponenti come Pellico, Manzoni, Rosmini e Gioberti. I cattolici hanno offerto un contributo fondamentale a ‘fare gli italiani’, ossia la base dell’unità politica. Senza questa identità comune, l’unità politica non avrebbe retto”. Dopo il Forum del progetto culturale dedicato all’Unità, la messa del card. Bagnasco il 17 marzo…“La Chiesa italiana auspica che questa commemorazione non abbia funzione meramente evocativa o celebrativa, ma sia un richiamo per il presente e il futuro. Di fronte ad una società che rischia di vedere attenuati il senso di identità e appartenenza, mi sembra che la preoccupazione della Cei sia quella di far riscoprire nelle radici comuni le ragioni dello stare insieme oggi e domani per rinsaldarle. Il discorso investe due aspetti. Nell’attuale contesto italiano multietnico e multiculturale, occorre un’identità nazionale ben forte. Ma vi sono anche implicazioni interne. I fenomeni dei localismi, di per sé non negativi, debbono essere orientati verso profili di autentica solidarietà per rafforzare l’unità nazionale, scongiurando il rischio di disgregazioni”. Quale, secondo lei, il ruolo dei cattolici nel Risorgimento, soprattutto a livello di territorio accanto alla gente comune? “Il conflitto verificatosi a livello istituzionale – non a livello di società – tra Stato e Chiesa ha portato tra l’altro al Non expedit. Con l’astensione dei cattolici dalla vita politica il loro impegno e le loro energie si sono convogliate nel sociale: istituzioni educative, caritative, assistenziali. Negli anni dello Stato liberale i cattolici hanno lavorato intensamente in questo ambito, in maniera capillare e con un fortissimo radicamento sul territorio, immettendo un capitale di esperienza, idee e pensiero che nel secondo dopoguerra ha concorso in modo rilevante alla creazione di una società nuova e diversa, sostanzialmente ispirata ai grandi valori della solidarietà, della socialità e della sussidiarietà”. Qualche esempio, al di là degli episodi più noti legati alle istituzioni religiose o al nascente associazionismo cattolico? “Nel 1865 venne introdotto il matrimonio civile obbligatorio. Di lì partì l’impegno sociale dei parroci di informazione nei confronti delle masse rurali incolte, per le quali il matrimonio era solo quello celebrato in chiesa, per convincerle a sposarsi anche in Comune, pena il non riconoscimento degli effetti civili. E ancora, il prezioso ruolo dei cappellani militari. Durante la Prima guerra mondiale, in cui centinaia di migliaia di poveri contadini analfabeti hanno conosciuto la tremenda vita di trincea, l’unico a tenere per loro i contatti con la famiglia, tentando di mantenere una dimensione di umanità in quel contesto disumano, era il cappellano militare. Esempi di una Chiesa impegnata concretamente, attraverso i suoi uomini, nell’animazione umana oltre che religiosa della società civile”. Quale il contributo dei cattolici nel vuoto politico-istituzionale del 1943?“La Chiesa è stata la ‘levatrice saggia’ della transizione dal regime precedente al nuovo Stato. I cattolici sono riusciti a favorire un passaggio che ha visto convergere le diverse posizioni politiche e culturali e ha costituito la premessa per l’assunzione, da parte loro, della guida del Paese nel secondo dopoguerra. Illuminanti le parole di Guido Gonella, al primo convegno Dc del 1945, sulla volontà di costruire il nuovo Stato con il concorso di tutte le forze politiche. Uno stile che rivela lo spessore di responsabilità dei cattolici nei confronti del Paese”. In che modo la ricorrenza del 17 marzo interpella oggi il mondo cattolico? “Chiamandolo ad una duplice responsabilità. Anzitutto di tipo sostanziale: la religione non demonizza la politica, ma prevede un impegno. Per il credente, quindi, essere un buon cittadino e offrire il proprio contributo alla crescita della società civile è un dovere ‘religioso’. Il secondo compito attiene alla pedagogia: mi sembra che le agenzie educative – scuola, parrocchia, associazioni – dovrebbero imprimere nuovo vigore alla formazione delle nuove generazioni all’amore di patria, al senso di cittadinanza e allo spendersi per il bene comune”.

AUTORE: Sir