Il sangue dell’alleanza

Commento alla liturgia della Domenica a cura di Bruno Pennacchini Santissimo Corpo e sangue di Cristo - anno B

Le tre letture liturgiche di oggi sono collegate da due parole, a loro volta strettamente legate: “alleanza” e “sangue”. Esse presiedono la festa del Corpo e Sangue del Signore. La prima lettura, presa dal capitolo 24 del libro dell’Esodo, narra di un rito di alleanza; rito cruento, certamente lontano dalla nostra sensibilità, ma comune nelle antiche culture semitiche. La narrazione simbolica della storia dell’alleanza del Signore con tutto l’antico popolo d’Israele comincia al capitolo 19. A tre mesi dall’uscita dall’Egitto, ai piedi del monte Sinai, Dio prende l’iniziativa e dice alla moltitudine radunata: “Voi avete visto ciò che ho fatto per voi, liberandovi dalla schiavitù.

Ora, se voi ascolterete la mia voce e ubbidirete alle mie parole, sarò per voi un alleato invincibile e, sebbene sia mia tutta la terra, voi sarete mia speciale, preziosa proprietà” (Es 19). L’intervento di Dio si svolge quindi in tre momenti: invito a considerare la sua opera potente, gratuitamente compiuta; l’invito all’ascolto della Parola; la promessa di un’alleanza irrevocabile. Nei capitoli successivi sono esposte le condizioni da osservare per rimanervi fedeli; tra di esse emergono le “Dieci Parole”, che in genere i cristiani chiamano “i dieci comandamenti”. Il popolo risponde: faremo tutto ciò che il Signore ci ha chiesto. A questo punto il patto è sostanzialmente accettato. Manca il solo il sigillo ufficiale. A somiglianza di quanto si faceva nella vita civile, si prepara un rito sacrificale, che avrebbe sigillato il patto per l’eternità.

È quanto si narra nella liturgia di oggi. Quel rito fu consegnato a Israele come “memoriale perpetuo”, ossia come avvenimento che si renderà presente ogni volta che il rito sarà celebrato. Storicamente si prolungherà nei secoli, prima nel tabernacolo innalzato nel deserto, poi nel tempio di Gerusalemme. I sacrifici cruenti dureranno invariati fino all’anno 70 d.C., quando il tempio di Gerusalemme sarà distrutto dalle truppe di Roma. Allora sarà il Corpo di Gesù a prenderne il posto (Gv 2,19). Nella seconda lettura si riprende il motivo del “sangue e alleanza”. Dopo la venuta del Messia, il mediatore non sarà più Mosè, come ai tempi dell’Esodo, ma Cristo, “venuto come Sommo Sacerdote”. Il sangue che sigilla l’alleanza non sarà più sangue di capri e vitelli, ma dello stesso mediatore Gesù Cristo. Anche l’alleanza non sarà più come quella del Sinai, chiamata prima alleanza, ma sarà nuova, gratuita, eterna e capace di salvare completamente quelli che vi aderiscono.

Nel brano evangelico secondo Marco, il binomio “sangue / alleanza” raggiunge il massimo della ricchezza. “Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per la moltitudine”. Il vino, che sono invitati a bere, fa sacramentalmente presente il sangue versato per la moltitudine. Chi accetta consapevolmente di berlo entra nell’alleanza nuova ed eterna. Conviene spendere qualche parola sul “sacrificio”. Nelle gran parte delle culture dell’antichità, il sacrificio faceva parte integrante del vivere sociale. Si uccidevano non solo animali, ma anche uomini: neonati, nemici, schiavi. I sacerdoti erano detti “sacrificatori”.

Lo scopo fondamentale era ingraziarsi le divinità: il fedele si privava di qualcosa che gli era caro e lo offriva loro; in cambio sperava di riceverne favori. Mentalità essenzialmente mercantile, che l’antico Israele, almeno inizialmente, condivise. Con il passare dei secoli questa mentalità progressivamente cambiò. I Profeti, i Salmisti… predicarono con forza che Dio preferiva di gran lunga l’amore ai sacrifici. C’è nella Bibbia un Salmo in cui Dio dice: “Pensate per caso che io abbia bisogno di mangiare le carni che voi mi offrite?”. I riti sacrificali continuarono, ma con significati diversi. Non più mercanteggio, ma espressione di gratitudine, di supplica, di lode… Poi venne Gesù, che abolì tutti i sacrifici, sostituendoli con l’offerta della propria vita; non per pagare un prezzo di sangue a un dio crudele e assetato, ma per dimostrare il suo amore supremo per l’uomo.

Paolo nella Lettera ai Romani lo proclama in maniera straordinariamente sintetica ed efficace: “Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi. A maggior ragione ora, giustificati nel suo sangue, saremo salvati dall’ira per mezzo di lui” (Rm 5,8-9). Malauguratamente, l’antica mentalità sacrificale, pagana, non è scomparsa. È piuttosto frequente incontrare cristiani “devoti” che compiono riti, fanno fioretti, accendono ceri, pensando che Dio ne abbia bisogno e che dunque sia poi obbligato a ricompensarli con vincite, guarigioni e quant’altro hanno domandato; e si sentono defraudati se così non avviene. Il cristianesimo è altra cosa; esso è fondato sulla grazia, ossia sulla gratuità. Ogni rinuncia, ogni volontaria privazione va interpretata come desiderio di partecipazione alle sofferenze del Maestro.

AUTORE: Bruno Pennacchini, Esegeta, già docente all’Ita di Assisi