Il Vescovo: “Ricollocare al primo posto la persona”

Convegno: "Chirurgia 2000 - Stato dell'arte"

Si è svolto sabato 25 maggio, a Villa Montesca, il Congresso regionale “Chirurgia 2000”, organizzato e presieduto dal prof. Federico Pasquini, direttore del Dipartimento chirurgico. C’è stata una partecipazione totale dei chirurghi dell’Umbria sia della componente ospedaliera che di quella universitaria. Al Congresso era stato invitato anche il vescovo diocesano mons.Pellegrino Tomaso Ronchi il quale ha accolto l’invito e ha portato al Presidente e ai partecipanti il saluto che quì pubblichiamo. “Egregio prof.re Federico Pasquini, è con un senso di onore e di gioia, misto a forte imbarazzo, che ho accolto il Suo invito a porgere un saluto ai partecipanti a questo qualificato convegno dei Chirurghi dell’Umbria. Ha prevalso, però, il senso di riconoscenza che devo a lei per avermi costantemente onorato della sua stima e cordialità. Saluto, quindi, lei, tutte le personalità qui presenti e gli illustri relatori che si succederanno nel corso della giornata. Il tema scelto è senza dubbio di fondamentale importanza ed è altrettanto saggio soffermarsi a guardare dove si è arrivati per poter discernere e valutare ciò che è necessario per il futuro. Cari amici, l’attività sanitaria tende, per sua natura, a “difendere la vita e a promuovere la salute di qualunque essere umano in difficoltà”. A ciò impegnava il medico già l’antichissimo “Giuramento di Ippocrate”. La vita è senza dubbio un bene primario e fondamentale della persona umana. Alla tutela della vita debbono dedicare la propria attività professionale e volontaria tutti gli operatori sanitari. A tal proposito il servo di Dio Paolo VI, rivolgendosi ai medici, diceva: “Siete medici e a tale sorte ‘nullum par elogium’. Assistere, curare, confortare, guarire il dolore umano, assicurare e restituire all’uomo vita sana ed efficiente, quale altra attività può essere per dignità, per utilità, per idealità, dopo e a fianco di quella sacerdotale, superiore alla vostra? Quale altro lavoro può più facilmente del vostro, con un semplice atto interiore di soprannaturale intenzione, diventare carità?” (Paolo Vl, vol m, 22.3.1965). E’ ovvio che la Chiesa non può non richiamare tutti al rispetto dei valori fondamentali dell’esistenza, in special modo quando questi si incrociano con la coscienza personale. L’attività medico-sanitaria si fonda su una relazione interpersonale, di natura particolare. Essa è un incontro tra una fiducia e una coscienza. La fiducia di un uomo segnato dalla sofferenza e dalla malattia, e perciò bisognevole, il quale si affida alla coscienza di un altro uomo che può farsi carico del suo bisogno e che gli va incontro per assisterlo, curarlo, guarirlo. Questi è appunto l’operatore sanitario. Per lui l’ammalato non è mai soltanto un caso clinico, un individuo anonimo sul quale applicare il frutto delle proprie conoscenze, ma sempre un uomo ammalato verso cui adottare un sincero atteggiamento di simpatia, nel senso etimologico del termine, cioè “simul pati = patire-soffrire assieme”. Cari amici, sappiamo bene che la nostra è una società dove è diventato più importante avere che essere e questa stessa società sta riducendo sempre più anche l’uomo ad oggetto, succube delle leggi di mercato. Anche quando si tratta della sua salute. Sarebbe sufficiente a dimostrarlo il fatto che la ricerca medica investe molto sulla cura delle malattie occidentali che consente lauti guadagni (ad esempio la cura dell’obesità), mentre abbandona tante patologie mortali che affliggono milioni di esseri umani nel sud del mondo semplicemente perché non redditizie. La scienza medica, nata religiosa, divenuta filosofia, si è oggi sganciata da ogni altra forma di sapere ed è diventata, per lo più, mera tecnologia, che tende a “gestire” il corpo umano. Sarebbe auspicabile una “riumanizzazione” della medicina; non tanto strutture dove conta il “numero” degli interventi e delle prestazioni in esse operati, ma, oltre che certamente la qualità di essi, un rapporto umano-personale da rivalutare, per ricollocare al primo posto la “persona”. E ciò non soltanto per rispondere ad un compito di amore-carità, quanto ad un sacrosanto dovere di giustizia. Concludo questo mio saluto, ringraziando di nuovo per l’occasione che mi è stata concessa ed auguro la felice prosecuzione dei lavori invocando su tutti i partecipanti una abbondante benedizione del Signore”.

AUTORE: 'Pellegrino Tomaso Ronchi