Immersione nella salvezza

Commento alla liturgia della Domenica a cura di Bruno Pennacchini Battesimo del Signore - anno C

L’episodio del battesimo di Gesù è tra quelli riportati da tutti e quattro gli evangelisti, in termini molto simili; ciò vuol dire che era considerato “evento fondatore”. Tant’è che, quando si trattò di scegliere tra i discepoli uno per sostituire Giuda il traditore nel collegio dei Dodici, Pietro pose come condizione che fosse scelto “tra coloro che hanno vissuto con noi… cominciando dal battesimo di Giovanni” (At 1,21). Quest’anno la liturgia ci propone la versione di Luca, il quale divide la narrazione in due parti; fra la prima e la seconda intercala un versetto sull’arresto del Battista da parte di Erode Antipa (Lc 3,19).

La prima parte, che abbiamo già ascoltato durante l’Avvento, riferisce la domanda della folla a Giovanni: sei tu il Messia atteso? E la risposta fu: “Viene Colui che è più forte di me… Egli vi immergerà nello Spirito santo e nel fuoco” (Lc 3,16). Nella seconda parte del racconto, Luca ci presenta Gesù come uno qualsiasi della folla, che chiede di essere battezzato. All’uscita dall’acqua lo vediamo raccolto in preghiera. Fu allora che accadde qualcosa di insolito: il cielo si aprì e Giovanni vide lo Spirito santo discendere su di lui “in forma corporea, come di colomba”. Con una parola un po’ dotta, si dice che avvenne una “teofanìa”, vale a dire una manifestazione di Dio.

Una manifestazione della Trinità santa. Ci fu anche una voce dal cielo che dichiarava a Gesù: “Tu sei il Figlio mio, l’amato, tu sei il mio compiacimento” (Lc 3,22). Per la prima volta nella storia, il Dio-Uno si rivela esplicitamente come Trinità: il Padre parla dal cielo, il Figlio fatto uomo è in ascolto sulla terra, lo Spirito santo è come il legame vitale fra loro. La teologia cristiana orientale parlerà di “Tri-Unità”. Gli elementi della narrazione evangelica richiamano, in filigrana, le prime pagine del libro della Genesi: ci sono le acque del Giordano e un uccello che scende, come a fecondarle, a somiglianza del primo capitolo del Genesi: lo Spirito che si librava sulle acque primordiali, dalle quali sarebbe scaturito l’universo. Nelle parole del Padre ci sono anche risonanze con la figura di Isacco, il figlio di Abramo, che Dio indicò come “il figlio tuo, l’unico, quello che tu ami” (Gn 22,2).

Il Battesimo. Nel corso della vicenda pubblica di Gesù, cogliamo questa parola anche sulla sua bocca, come quando domandò a Giacomo e Giovanni: “Potete essere battezzati con il battesimo con cui io sto per essere battezzato?” (Mc 10,39). O come in quell’altra occasione in cui disse: “Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto!”. Con questa espressione Gesù fa riferimento alla sua immersione nella morte per risorgere nella gloria. Immersione angosciosa e difficile, ma essenziale in vista del compimento della missione affidatagli dal Padre.

La celebrazione di oggi rievoca pertanto non un gesto isolato e solitario, ma l’inizio di un’avventura drammatica, in cui è coinvolto anche ognuno di noi. Quando fummo battezzati, fummo immersi nell’acqua e nelle Spirito santo. Anche a noi quel giorno il Padre dichiarò: “Tu sei mio figlio”. Torna alla mente il colloquio di Gesù con Nicodemo, anziano intellettuale giudeo che rimase completamente spiazzato quando si sentì dire: “Se uno non rinasce da acqua e da Spirito santo, non può entrare nel regno di Dio” (Gv 3,5). Vivere da figli di Dio comporta due conseguenze: obbedire alla volontà del Padre e non vergognarsi di essere cristiani.

La seconda lettura colpisce il centro del significato esistenziale del battesimo. San Paolo scrive a Tito, che ha costituito vescovo di Creta, ricordandogli alcune norme pratiche. Come è solito fare, ne approfitta – si direbbe – per proclamare nuovamente l’annuncio centrale della fede cristiana. Scrive che siamo entrati nel tempo della benevolenza di Dio, apportatrice di salvezza, che insegna a rinnegare l’empietà, in vista della beata speranza della gloria.

Poi vengono alcuni versetti, che la liturgia di oggi non riporta, in cui raccomanda di essere sottomessi alle pubbliche autorità, di non parlare male di nessuno, di evitare contese, di essere mansueti, e aggiunge: “Anche noi un tempo eravamo insensati, disobbedienti, corrotti, schiavi di ogni sorta di passioni e di piaceri, vivendo nella malvagità e nell’invidia, odiosi e odiandoci a vicenda” (Tt 3,3). Ma da tutto questo Dio ci ha salvati, non a causa delle nostre opere buone, ma per la Sua misericordia, “per mezzo di un’acqua che rigenera e rinnova nello Spirito santo”. Con il battesimo abbiamo una caparra della salvezza già in questo mondo, sperimentando la liberazione dalla schiavitù delle passioni, dell’invidia, della malvagità e dell’odio.

 

AUTORE: Bruno Pennacchini Esegeta, già docente all’Ita di Assisi