In cammino con Gesù verso casa

Commento alla liturgia della Domenica a cura di Oscar Battaglia V Domenica di Pasqua - anno A

La pagina del Vangelo che leggiamo ci porta nel cenacolo dove Gesù sta celebrando l’ultima cena, quella pasquale, con i suoi discepoli. È una cena di addio, perciò Gesù non può fare a meno di parlare della sua partenza da questo mondo al Padre, conosciuta e annunciata (Gv 13, 1). Giovanni, l’apostolo che quella sera ha posato il capo sul petto di Gesù, ci racconta quei colloqui intrisi di affetto e di tristezza che Gesù ha intessuto stando a tavola con i suoi discepoli. Ma ce li racconta alla luce della Pasqua ormai realizzata, quando Gesù è tornato ormai da tempo nella casa del Padre. Quelle parole acquistano per lui un significato nuovo e ormai sono tinte di serenità e di pace. È ormai un discorso pacato, niente affatto drammatico, dal tono rassicurante.

Quelle sue parole sono la garanzia sicura per i credenti, invitati a seguirlo sulla strada di casa, dove lui va a preparare un posto per tutti. La strada è lunga e faticosa, ma la meta è sicura. Lì è arrivato lui per primo a predisporre l’accoglienza. C’è posto per tutti, assicura. Sarebbe stoltezza rifiutare l’invito caloroso che risuonò per noi in quella sera memorabile. Tanto più che Gesù ha anche indicato la strada sicura per arrivare a quella casa che è del Padre e dei figli. La via è lui stesso perché in lui abita personalmente Dio e in lui è la pace della vita definitiva. Non bisogna fare molta strada, basta unirsi a lui nella fede e nell’amore, e la speranza di vita è sicura. Ora che abbiamo capito il senso globale del discorso, seguiamone l’andatura. Non è facile, perché il modo di discorrere è semitico, fatto più di intuizioni che di ragionamenti logici, più circolare che lineare. Gesù inizia annunciando chiaramente la sua prossima partenza e il suo ritorno.

Certo ha in mente la sua morte di croce e la sua risurrezione, che si stanno per verificare nel giro di pochi giorni. Lo aveva accennato poco prima, dopo la lavanda dei piedi, tradendo una grande tenerezza: “Figliolini, ancora per poco sono con voi, voi mi cercherete, ma dove vado io voi non potete venire” (13, 33). Pietro gli aveva domandato: “Signore, dove vai?”, “Dove vado io per ora tu non puoi seguirmi, mi seguirai più tardi” (13, 36). Pietro vorrebbe seguirlo fino alla morte, ma Gesù lo dissuade, pur non negando al tempo opportuno una morte come la sua. Non è un annuncio indolore, perciò Gesù sente il bisogno di rassicurare e confortare i suoi: “Non sia turbato il vostro cuore, abbiate fede in Dio e in me”. Solo l’unica fede in Dio e in Gesù può salvarli dallo sconforto che si impossesserà di loro.

È sempre questa la medicina spirituale del dolore in tutti i tempi. Gesù non sparisce nel nulla della morte, va in cielo a preparare un posto ai suoi; poi tornerà con la risurrezione a confermare loro che tutto è pronto lassù, perché nella spaziosa casa del Padre ci sono dimore celesti per tutti. È una gioiosa promessa che dona sicurezza, sulla parola di Gesù, a tutti noi suoi discepoli: “Tornerò e vi prenderò con me, perché anche voi siate dove sono io”. Basta credere senza dubitare. Dio vuole tutti salvi, egli “non ha mandato il suo Figlio per condannare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo suo” (Gv 3, 17). Gesù che sale in cielo non ci abbandona a noi stessi, ci vive a accanto, in attesa di accompagnarci, quando sarà il tempo, alla comune casa del Padre. A questo punto il discorso opera una svolta. Gesù non parla più del posto riservato per noi in cielo, ma della via per arrivarvi. Sembra darla per scontata, ma Tommaso lo richiama alla realtà: “Signore, non sappiamo nemmeno dove vai, come possiamo conoscere la via?”.

Gesù era convinto che avessero capito, ma, presi dalla tristezza del distacco, hanno capito ben poco e hanno le idee confuse. Tommaso è il discepolo schietto che, con i suoi dubbi, richiamerà tutti alla chiarezza e alla concretezza, come il giorno di Pasqua (Gv 20, 25). Così costringe Gesù a spiegarsi con una risposta densa di dottrina teologica: “Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non attraverso me”. È un’autodefinizione, come ce ne sono altre nel quarto Vangelo. Basti pensare alle più note: “Io sono il pane vivo disceso dal cielo”, “Io sono la luce del mondo”, “Io sono il Bel Pastore”, “Io sono la porta”, “Io sono la risurrezione e la vita”, “Io sono la vite vera”. Tutte descrivono in modo figurato la funzione salvifica di Gesù per i suoi fedeli. Egli è il nutrimento indispensabile per la via spirituale dell’uomo, egli illumina con la sua parola la strada della vita, egli è la guida “perfetta” (bella) e sicura di ogni uomo, egli è l’unica porta per entrare nella vita eterna, egli comunica la risurrezione finale e la vita eterna, egli è la sorgente viva da cui tutti prendiamo vita e fecondità come rami da un tronco di vite.

Ora egli dichiara solennemente di essere l’unica strada verso la verità e la vita. Anzi è l’unica strada dell’uomo fra le tante false strade che il mondo propone. Smarrirla significa perdersi. È una strada piena di luce dove si cammina sicuri, perché vi risuona la Parola di Dio e brilla in essa il volto luminoso e misericordioso del Padre. Qui si incontra il Padre, perché egli si rivela nel volto umano di Gesù e in lui si dona in pienezza. La via sfocia poi nella vita vera, quella divina che Dio comunica ai credenti fin da ora. A Filippo che gli chiede di mostrargli il Padre, Gesù può allora rispondere: “Chi ha visto me, ha visto il Padre. Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Credetemi, io sono nel Padre e il Padre è in me”. Gesù è la via, la verità e la vita perché in lui abita e si rivela personalmente il Padre. Chi vede lui, vede il Padre, perché i due sono una cosa sola. Dio finora non l’ha mai visto nessuno: egli assume in Gesù i nostri lineamenti umani per rivelarsi a noi.

Gesù è la perfetta “immagine (eikon) del Dio invisibile” (Col 1, 15). Chi vede con gli occhi della fede Gesù, vede il Padre in lui. Si stenta a trovare nei Vangeli una pagina più ricca e luminosa di questa. Qui c’è tutta la nostra esistenza cristiana, c’è il nocciolo della nostra fede. Qui entriamo nel cuore della Trinità, dove Padre e Figlio si scambiano la vita per farla arrivare poi fino a noi. La condizione per averla è la conoscenza d’amore, perché Dio è amore. Conoscere, per Gesù, è molto più che sapere, è comunione intima di amore. Perciò può dire: “Se conoscete me, conoscerete anche il Padre; fin ora lo conoscete e lo avete veduto”.

Equivale a dire che conoscere e amare Gesù significa essere in comunione di vita con Dio. Colui che accetta Gesù come la sua strada di vita, arriva a Dio ed entra in comunione vitale con lui. Poco più avanti Gesù annuncerà la più bella delle realtà cristiane: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” (14, 23). Nel brano evangelico di oggi dice che andrà a preparare un dimora in cielo per tutti noi; poi aggiunge che quella dimora è dentro ciascuno di noi, perché il paradiso è là dove abita Dio, nel cuore di ogni credente. Non poteva dire di più!

AUTORE: Oscar Battaglia