In Congo abbiamo trovato una fede giovane ed entusiasta del Signore

Insieme a don Paolo Martinelli un gruppo di giovani ha trascorso 12 giorni a Bukavu (Congo)

Riportiamo il resoconto del viaggio in Africa di un gruppo di ragazzi della pastorale giovanile diocesana, per incontrare, in una sorta di gemellaggio, la pastorale giovanile di Bukava (Congo). Insieme a loro anche una famiglia, don Paolo Martinelli e don Samuele Biondini.”Il nostro viaggio in Africa è stato un viaggio preparato a lungo… meditato… riflettuto… combattuto… pieno di vaccinazioni… pregato, poi infine la partenza: il 19 agosto alle 7 di mattina ci siamo ritrovati in chiesa a Santa Veronica e con la messa celebrata insieme a familiari ed amici abbiamo iniziato questa esperienza di vita, lontana dalle nostre abitudini, pronti a cambiare tutti i nostri schemi, veramente aperti a tutto quello che avremmo incontrato e credo anche con una forza grande non solo dettata dall’entusiasmo. Riflettendo ora a posteriori, veramente 12 giorni sono pochi per realizzare e assorbire tutta la valanga di emozioni, quantità di persone incontrate, paesaggi visti, parole scambiate, sguardi, saluti, canti ascoltati, preghiere insieme… ma la cosa veramente che mi viene in mente ora è che l’Africa non è quella fatta intravedere in televisione parlando solo di bisogni e miseria, l’Africa è come un gigante addormentato, buono e paziente, ma pronto al risveglio quando si tende una mano e scopre che i fratelli della Comunità internazionale hanno a cuore il suo cuore e non fanno beneficenza per sistemare le loro coscienze. L’Africa è dimenticata… le sue guerre sono tenute nascoste dai mezzi di comunicazione perché servono ad arricchire chi già vive nel benessere e tutti noi siamo responsabili di questo, perché dovremo cominciare a gridare anche noi, denunciando questa ingiustizia ormai accettata nell’indifferenza. La gente del Congo e in particolare quella di Bukavu ci ha trasmesso la gioia profonda della loro vita comunitaria che si accende al ritmo della loro danza tradizionale accompagnata dai loro canti, ci hanno spiegato la loro vita senza arroganza ma gentilmente quasi con pudore e con rispetto profondo, ci hanno accolto come fratelli senza metterci su di un piedistallo con un’ accoglienza speciale, facendoci sentire a casa e dimenticare i colori della pelle che si mescolavano insieme. Ci hanno dimostrato una fede giovane ed entusiasta del Signore che non ha bisogno di dimostrazioni particolari, li sentivamo pregare già la mattina presto (la notte è lunga all’Equatore) accompagnati dai suoni dei tamburi. Non dimenticheremo le mani dei bambini, tanti perché il Congo è generoso, e la loro felicità nel raggiungere la nostra e la loro voce nel pronunciare il saluto usuale: Jambo! Il Congo si racconta male perché le emozioni si vivono, quindi il mio augurio è che possiate sperimentarle, per scoprire che il cuore si può aprire talmente tanto da non riuscire a capire più il significato della parola “confini”. Ma anche se riusciremo a raccontare male e in maniera parziale, quello che spero possiamo trasmettere è la presa di coscienza che dipendono da ciascuno di noi la vita e la speranza dei nostri fratelli africani e che l’ingiustizia perpetrata ogni giorno è un macigno giustificato dalla nostra indifferenza. Significative, infine, per noi le parole di Martir Luther King quando diceva: “Non ho paura delle parole dei violenti, ma del silenzio degli onesti”…

AUTORE: E.C.