La carità non ha confini

Viviamo in tempi in cui pare ci siano rigurgiti di razzismo, in particolare verso categorie di persone che Gesù ha scelto per impersonare se stesso. Il cammino educativo all’amore cristiano verso i poveri è reso fecondo se riusciamo a trovare la giusta modalità di entrare in relazione con essi. Le parole di Gesù con le quali egli si identifica con l’assetato, il forestiero, l’ammalato, il carcerato, stabiliscono una relazione sacramentale tra Gesù e i poveri, che è il fondamento più solido per un’azione promozionale di riscatto sociale. ‘I poveri sono i nostri signori’, diceva san Vincenzo de’ Paoli, indicando con questa espressione il principio-guida di una svolta religiosa e sociale da lui data alla Chiesa e alla società del suo tempo. Per la prima volta, grazie a san Vincenzo, donne consacrate vivevano ed operavano a servizio dei poveri fuori della clausura, e le nobildonne della società francese non avevano timore di visitare e curare i poveri. Dalla vita di Francesco di Assisi sappiamo che il suo cammino di conversione fu favorito dalla scoperta di Dio-Amore nella figura del lebbroso. Sono stupende le prime parole del suo Testamento: ‘Il Signore concesse a me, frate Francesco, di incominciare a fare penitenza, perché essendo io nei peccati, mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi; e il Signore stesso mi condusse tra loro e usò con essi misericordia. E allontanandomi da essi, ciò che mi sembrava amaro mi fu convertito in dolcezza di anima e di corpo’. Con queste parole Francesco fa riferimento all’abbraccio del lebbroso che il suo biografo narra immediatamente prima del racconto del suo atteggiamento di compassione nei confronti del crocifisso di San Damiano. C’è un legame strettissimo tra le due azioni: Francesco nel povero lebbroso, cioè nel guardare ai poveri, vede un’icona del Cristo crocifisso che domanda di essere amato e seguito. San Vincenzo de’ Paoli, fondatore della congregazione delle Figlie della Carità, scriveva loro: ‘Il servizio dei poveri dev’essere preferito a tutto. Non ci devono essere ritardi. Se nell’ora dell’orazione avete da portare una medicina o un soccorso a un povero, andatevi tranquillamente. Non è lasciare Dio, quando si lascia Dio per Iddio, ossia un’opera di Dio per farne un’altra. Se lasciate l’orazione per assistere un povero, sappiate che fare questo è servire Dio. La carità è superiore a tutte le regole, e tutto deve riferirsi ad essa. È una grande signora: bisogna fare ciò che comanda. Tutti quelli che ameranno i poveri in vita non avranno alcun timore della morte’. Ho citato queste testimonianze di san Vincenzo e di san Francesco perché rivelano lo spirito evangelico con il quale siamo chiamati a guardare ai poveri. Il guardare ai poveri come icona di Cristo, come hanno fatto questi due santi, ha permesso alla Chiesa di essere una comunità profetica che ha anticipato al suo interno le successive riforme sociali operate dallo Stato. Le persone povere non sono numeri da assistere, ma fonte di sapienza da ascoltare e da accogliere. Non è un’esagerazione dire che occorre andare a scuola dai poveri per capire la vita e orientarla secondo il disegno di Dio. Se dalla contemplazione di Cristo, presente nella Parola e nell’eucaristia, scaturisce una forza di evangelizzazione che conduce all’amore concreto verso i poveri, è anche vero che dall’accoglienza dei poveri, considerati come icona di Cristo, parte un movimento di conversione che porta alla contemplazione di Cristo, presente nella Parola e nell’eucaristia.

AUTORE: ' Pellegrino Tomaso Ronchi