La Chiesa, comunità di fratelli

Commento alla liturgia della Domenica a cura di Oscar Battaglia XXIII Domenica del tempo ordinario - anno A

Spesso le nostre comunità parrocchiali non sono accoglienti, perché sono la somma di individui che non si conoscono tra loro e vivono il loro rapporto personale con Dio in una specie di religione privata. Tolto un nucleo centrale più o meno numeroso, che si stringe intorno al parroco e collabora alle attività pastorali più urgenti, come il catechismo ai bambini e ai ragazzi, la Caritas, la lectio divina, non esistono momenti forti di incontro e di scambio che coinvolgano la maggioranza dei fedeli. Restano freddi e formali gli incontri con le famiglie in occasione di lutti e disgrazie, di feste e benedizioni pasquali. Ci manca il senso della fraternità solidale, che consente di vivere insieme gioie e dolori. Il discorso ecclesiale che Matteo ha inserito nel c. 18 del suo Vangelo tratta proprio questo tema di estrema attualità.

Gesù vi descrive la sua Chiesa come una famiglia di piccoli e di fratelli preoccupati del bene degli uni e degli altri. Egli parla della cura gelosa che si deve nutrire verso i più deboli e poveri, perché non subiscano scandalo ed emarginazione. Poco prima del nostro brano ha raccontato la parabola della pecorella che si smarrisce e che il pastore deve cercare con passione amorosa. Si tratta di un fratello più debole che smarrisce la fede e lascia la comunità. Chi si sente responsabile, deve avvertire la pena nel cuore e tentare ogni iniziativa per riportare lo smarrito a casa. Solo allora è festa di tutta la famiglia insieme a Dio (Mt 18,12-14).

A quella parabola è legato il brano che leggiamo oggi. Vi si descrive l’atteggiamento verso il fratello colpevole, che bisogna continuare ad amare e a cercare. Gesù detta qui alcune regole di vita ecclesiale che devono servire da orientamento e da guida per ogni comunità cristiana, piccola o grande, riunita nel suo nome. Sono 5 regole espresse in forma casistica per renderle più aderenti alla vita concreta, iniziano perciò con un “se” condizionale. Sono anche accompagnate da tre assicurazioni che ne garantiscono l’efficacia: la certezza di veder convalidato in Cielo il legame fraterno stabilito sulla terra; l’esaudimento sicuro di ogni preghiera fatta di comune accordo tra fratelli di fede; la presenza personale di Gesù dove sono riuniti insieme due o tre fratelli che si amano.

Si inizia con il caso concreto di un fratello che pecca contro un altro con un’offesa e un affronto grave. E’ tirato in campo il caso del “tu” dell’ascoltatore, non un caso generico e astratto. Ogni ascoltatore cristiano si deve sentire interpellato personalmente in modo diretto. Nel Discorso della montagna Gesù aveva formulato un caso simile: “Se presenti la tua offerta sull’altare e ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare e va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello, poi torna ad offrire il tuo dono” (Mt 5,23s). Non si tratta, come nel nostro caso, di riconciliazione con il fratello da te offeso, ma del fratello che ha recato offesa a te. In questo caso l’iniziativa del perdono spetta a chi crede di aver ragione: “Va’ tu, non aspettare che venga lui”. Chi ha più amore, lo adoperi. È descritta in questo brano la prassi ecclesiale in vigore nelle comunità cristiane delle origini. Essa inizia con la correzione fraterna fatta a tu per tu con l’interessato. Si cerca prima di tutto di chiarire le cose a quattrocchi.

Se il chiarimento non riesce, si chiede l’aiuto degli amici comuni che possono fare da intermediari. Se anche questo secondo approccio fallisce, si chiede l’intervento della comunità, che interviene con tutta la sua autorevolezza. Insomma, nei casi di contrasti gravi nati tra i membri della Chiesa, non bisogna lasciare nulla di intentato. L’unità di amore è il bene più prezioso, addirittura è il segno di autenticità delle nostre comunità cristiane, non un optional (Gv 13,35). Chi non capisce e non accetta questa verità, si mette fuori della Chiesa, non come uno scomunicato, ma “come un pagano e un pubblicano”, che ha bisogno di conversione; diventa terra nuova di missione e di evangelizzazione. La prospettiva di Matteo non è l’espulsione dalla Chiesa, ma l’esortazione alla conversione e al perdono. Il giudizio insindacabile della Chiesa sulla autenticità della prassi cristiana è convalidato in Cielo.

La Chiesa, nella persona dei suoi ministri, ha il potere in terra di legare e di sciogliere, cioè di giudicare il peccatore e riammetterlo con il perdono nella comunione violata. Lo aveva assicurato Gesù a Pietro nella promessa del primato nella Chiesa universale, lo ripete qui ai responsabili della Chiesa locale. Le Chiese particolari sono viste come immagini in piccolo della Chiesa universale, perché è la stressa Chiesa che vive nel mondo intero e in ogni territorio. Con il suo “legare e sciogliere”, la comunità cristiana è sempre aperta al dialogo e al perdono. Matteo ama sviluppare in positivo questo accordo fra Cielo e terra fondato sull’armonia dei membri della Chiesa. L’amore sintonizza i credenti con il Gesù della gloria: “Se due di voi sulla terra si accorderanno per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà”. Il pensiero corre subito alla famiglia, la Chiesa più piccola, dove marito e moglie pregano insieme con amore e armonia.

La preghiera è lo strumento più potente che ogni comunità piccola o grande possiede per far breccia sul cuore di Dio. La preghiera fatta insieme è un duetto e una sinfonia più efficace di un assolo, per quanto virtuoso. Il motivo di fondo di tutto questo sta nel fatto che “dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì ci sono io in mezzo a loro”. Per Matteo Gesù è l’Emmanuele, il Dio-con-noi, che non ha mai lasciato la sua Chiesa, pur salendo al Cielo. Qui ci viene detto dove trovarlo con sicurezza: nella comunità che prega e vive in armonia di fede e di sentimenti, superando divisioni e separazioni sempre in agguato. Ogni piccola o grande comunità è il suo tempio, fatto di pietre vive, è il suo Corpo di cui i credenti sono membra (Mt 26,61; 1 Cor 3,16s).

Con questo, Gesù non dice che i membri della comunità siano tutti santi e puri; la Chiesa è fatta anche di pubblicani e di pagani, pecore smarrite da ricercare e da ricondurre all’unità, specie con la preghiera. Egli assicura che continua a camminare con la sua Chiesa, come camminava con i suoi discepoli durante la sua vita terrena. Come allora, egli chiama tutti a sé offrendo amore, perdono e salvezza, perché vuole tutti salvi. Vuole una comunità di fratelli che si amino e sappiano stare insieme, buoni e cattivi, per raggiungere insieme la casa del Padre.

AUTORE: Oscar Battaglia