La fedeltà sacerdotale

Parola di vescovo

In tempi come i nostri, le virtù basilari non sono scontate. Si pensi alla forzata riscoperta della sobrietà in seguito all’esplosione-implosione del consumismo selvaggio. Sembra in disuso un’altra virtù: la fedeltà. Papa Benedetto ha voluto molto opportunamente metterla a tema dell’Anno sacerdotale appena iniziato: ‘Fedeltà di Cristo, fedeltà del sacerdote’. Fedeltà è sinonimo di coerenza, volontà di confermare e mantenere l’impegno preso responsabilmente. La parola data un tempo bastava anche per la compra-vendita. Non una fedeltà semplicemente conservativa, bensì dinamica e creatrice, tale da approfondire, sviluppare, portare a maturazione, nei suoi molteplici aspetti, la propria storia. Ma la fedeltà umana di per sé è fragile. Quella di Cristo non viene meno. ‘In lui vi fu solo il sì. Infatti tutte le promesse di Dio in lui sono sì’ (2Cor 1,19-20). Sulla fedeltà indefettibile di Dio e di Cristo si fonda la possibilità della nostra fedeltà permanente e definitiva: il nostro ‘per sempre’. Un prete, un religioso/a, una coppia che con la grazia di Dio dicono un sì per sempre e lo mantengono, testimoniano la fedeltà di Dio ed elevano a grande dignità l’uomo tentato dall’infedeltà, a dire sì e no. Fedeltà di Cristo, fedeltà del sacerdote. Indiscussa la prima, variabile l’altra. La risposta umana può essere ottimale (santità), mediocre, negativa (compromesso, tradimento). Com’è detto nella parabola del seminatore. Naturalmente con conseguenze personali, ecclesiali, sociali molto diverse. Solo due sono per Gesù le condizioni necessarie e sufficienti per la fedeltà. ‘Vegliate e pregate per non care in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole’ (Mt 26,41). Sono due imperativi. Con la preghiera accogliamo la grazia potente di Dio, il suo Spirito. Con la vigilanza facciamo la nostra parte: quella che Gesù chiama ‘potatura, porta stretta, abbracciare la croce, cavare l’occhio che scandalizza, rinnegare se stessi’ e Paolo chiama ‘lotta, buona battaglia, mortificazione’. È evidente che la grazia del Signore è prioritaria e prevalente. ‘Cari fratelli e sorelle, a fronte di tante incertezze e stanchezze anche nell’esercizio del ministero sacerdotale, è urgente il recupero di un giudizio chiaro e inequivocabile sul primato assoluto della grazia divina, ricordando quanto scrive S. Tommaso d’Aquino: ‘Il più piccolo dono della grazia supera il bene naturale di tutto l’universo”. Per questo ‘la preghiera è il primo impegno, la vera via di santificazione dei sacerdoti, e l’anima dell’autentica pastorale vocazionale’ (Benedetto XVI, Udienza di mercoledì 1’luglio 2009). Un sacerdote fedele a Dio e agli uomini passa dall’egoismo all’amore, vive la sua totale fedeltà a Cristo, facendo realmente proprie le parole del Maestro: ‘Questo è il mio corpo, il mio sangue, la mia vita offerta a Dio per voi’. Di più: tutta l’opera dell’evangelizzazione tende a fare in modo che gli uomini diventino offerta gradita a Dio (sacerdozio comune). Così il prete diventa massimamente fedele a Dio e agli uomini. Tale era il Curato d’Ars, che amava dire: ‘Un buon pastore, un pastore secondo il cuore di Dio, è il più grande tesoro che il buon Dio possa accordare ad una parrocchia e uno dei doni più preziosi della misericordia divina’ (ivi). E santa Veronica scriveva: ‘Non potevo capire come i sacerdoti, tenendo nelle loro mani il Dio tre volte santo, non diventassero pazzi di amore [‘]. La santa Vergine ordinò ai santi che le stavano attorno di fare corona al vescovo e di assisterlo durante la messa’ (Contessa del Villermont, Vita di S. Veronica Giuliani, pp. 213, 408-409).

AUTORE: Domenico Cancian