La spiritualità del prete? È il sacerdozio

Compie 150 anni l’Unione apostolica del clero. Intervista al presidente nazionale mons. Vittorio Peri

L’Unione apostolica del clero (Uac) italiana, insieme a decine di altre Unioni in diversi Paesi del mondo, si appresta alle celebrazioni per il 150° di fondazione. Ne parliamo con mons. Vittorio Peri, della diocesi di Assisi, dal 2005 presidente nazionale dell’Uac.

Come valuta la storia dell’Uac in Italia?

“Il primo ‘circolo’ si formò il 18 novembre 1880 nel santuario mariano di Monte Berico, sulle colline di Vicenza, per iniziativa del prete veneto Luigi Marini che alcuni anni prima, per aiutare i confratelli nel loro apostolato, aveva ideato una congregazione ‘dei veri amici’. L’associazione, però, era stata fondata nel 1862 a Parigi, ad opera dell’abate Lebeurier. Quest’anno compie, pertanto, 150 anni di vita”.

L’Uac è quindi diffusa anche in altre nazioni?

“Presente in oltre trenta nazioni di tutti i Continenti, eccetto l’Oceania, ha la figura giuridica di una confederazione di federazioni nazionali. Quella italiana, con i suoi 2.500 iscritti circa, tra fedelissimi e saltuari, è la più numerosa di tutte. I miei predecessori hanno lavorato molto bene!”.

Quali sono i tratti caratteristici dell’associazione?

“Potrei dire, paradossalmente, che l’identità dell’Uac è quella di non avere un progetto proprio, a sé stante, perché fa proprio l’iter formativo indicato per il clero dai testi conciliari e dal magistero pontificio ed episcopale. Potrei dire che l’Uac si rapporta al clero come l’Azione cattolica nei confronti dei fedeli laici. Si propone di far crescere il legame con la propria Chiesa locale (la ‘spiritualità diocesana’), la fraternità sacramentale tra i presbiteri e la loro formazione permanente, la comunione gerarchica con i vescovi, la valorizzazione del diaconato permanente”.

Come avviene, in pratica, quest’opera di animazione?

“Attraverso la stampa associativa (la rivista trimestrale Uac Notizie, l’annuale volumetto della ‘Collana di spiritualità’ per il clero, ecc.) e mediante seminari di studio, convegni nazionali e regionali. Ci sono poi, direi anzi soprattutto, gli incontri a livello diocesano, detti ‘cenacoli’, che servono non per programmare attività ma per conoscersi meglio, dialogare, raccontarsi. E pregare insieme, naturalmente”.

Le sembra che i presbiteri diocesani siano oggi sensibili ai temi della “spiritualità diocesana” e, più in generale, della comunione e della collaborazione pastorale?

“Non ho alcuna reticenza nell’affermare, sulla base di una non breve esperienza, che ci sono tante luci e non poche ombre. Quando infatti ci accade di presentare questi temi negli incontri diocesani del clero o nei seminari, troviamo di solito grande attenzione e apprezzamento. In molte Chiese locali, però, l’associazione è del tutto sconosciuta, o perché la dimensione associativa tra preti è ritenuta superata, mentre in realtà è incoraggiata dal decreto conciliare Presyiterorum ordinis, o perché è ritenuto più affascinante il riferimento alla spiritualità di qualche movimento ecclesiale”.

E qual è il riferimento della spiritualità proposto dall’Uac?

“Sostanzialmente, è il rito dell’ordinazione. Non possiamo parlare della vita presbiterale senza partire dal sacramento che ne costituisce la sorgente. E cercare altrove i tratti caratteristici della propria identità sarebbe come vagare per il mondo alla ricerca di qualcosa che si trova già in casa. Una fatica inutile, oltre che alquanto insensata”.

In questo 150° di fondazione, come è presente l’Uac nelle diocesi italiane?

“La situazione è variegata. Ci sono regioni, come la Puglia, la Sicilia, la Toscana, la Basilicata, l’Emilia Romagna e la Sardegna in cui quasi ovunque è presente l’Unione diocesana, e regioni con presenze a macchia di leopardo. Il Lazio, spiace dirlo, è tra tutte la più debole. Le Unioni diocesane formalmente costituite sono attualmente poco meno di 150”.

Qualcosa sulla struttura organizzativa dell’associazione.

“C’è una Presidenza nazionale, che ha sede a Roma, con un Consiglio nazionale che ogni tre anni viene eletto dall’assemblea generale formata dai direttori diocesani e dai delegati regionali. L’Uac si avvale poi di un Centro studi costituito da una quindicina di teologi e di altri esperti nelle varie branche della teologia e dell’azione formativa. L’associazione è riconosciuta dalla Conferenza episcopale italiana, cui spetta l’approvazione dello Statuto e la nomina, che è rinnovata ogni tre anni, del presidente nazionale”.

AUTORE: Luigi Crimella