La storia di Maria, la nostra storia

'Per lei, una donna, il Padre ha inventato questo incanto: ha indicato che il peccato si nullifica quando c'è di mezzo il bene della vita'

Provate a chiedere ad una ragazza, anche ad una credente o impegnata in una qualche associazione, che cosa significhi il titolo di ‘immacolata concezione’ riservato a Maria. Storcerà la bocca e, balbettando, farà riferimento alla verginità della Madre di Dio e ad un dogma di un Papa lontano, forse nel Medioevo. Roba d’altri tempi, insomma. Che non tocca più la sensibilità femminile cattolica – figurarsi quella laicista – e che ancora una volta tende a relegare quella figura, così centrale nel mistero cristiano, in un’aura rarefatta e insignificante. A pensarci un poco, invece, questo ‘concepimento’ di Maria nella completa assenza di peccato è di una straordinaria portata antropologica: la Madre di Dio, donna del suo tempo, coinvolta nel più straordinario racconto che la storia ricordi, ci dice che il male è sconfitto ‘in partenza’, se è vero che lei, creatura finita e non semidea, ha potuto essere ripiena di grazia sin dal primo istante della sua esistenza. Per lei, una donna, il Padre ha inventato questo incanto: preparandola al futuro parto verginale, ha voluto così indicare che il peccato si nullifica quando c’è di mezzo il bene della vita, la cura dell’esistenza, la speranza, tutta materna, di custodia della felicità nelle generazioni future. Per questo Maria non è un ‘simbolo’, ma la coscienza della femminilità, la consapevolezza cioè che ogni donna, il cui corpo fecondo raccoglie la vita, è il vero volto dell’umanità. Benedetta e riscattata dalla resurrezione del Figlio, questa porta in sé quel segreto di bene che va fecondato, perché annienti ogni tentazione di male. Il peccato è la soglia della non-vita, l’ingresso alla morte del cuore, l’infelicità di tante giovani, immerse nel vuoto delle passioni tristi. Occorre perciò mettersi alla ricerca di quel bene perduto, che va con costanza ritrovato, perché si rigeneri la bontà di tutta la creazione. Ha ragione la tradizione ebraico-talmudica, quando afferma che il culmine del creato, il suo sorprendente effetto finale è proprio la donna, giunta per ultima e, per questo, segno di perfezione della natura. La sua dignità infatti sta nel trasmettere la vita, perpetuando la sua presenza nel tempo e sconfiggendo così ogni presenza di morte, ogni paura del futuro. Maria, concepita senza peccato, idonea a raccogliere verginalmente (leggi: liberamente) il frutto dello Spirito, è l’esempio concreto a cui ogni donna può guardare. Dire verginità non vuol dire demonizzare la sessualità, ma dice al contrario la sua gestione responsabile e consapevole. Dire concepimento immacolato non vuol dire fuoriuscita dalla condizione umana, ma – al contrario – l’indicazione che essere donna significa essere consapevole di doversi con forza riscattare dai condizionamenti storici che l’hanno vista, e la vedono, oggetto di violenza e di sopraffazione del maschio. Non è solo questione di rivendicazione sessista, come invoca tanto femminismo radicale, ma la coscienza dell’intangibilità del proprio corpo, del suo straordinario potere di esprimere disponibilità a diventare una casa entro cui ogni figlio cresce e si prepara ad entrare nel mondo. Il carattere ‘unico’ del Figlio di Dio è il distintivo dell’unicità di ogni nato, così come il corpo di Maria è il segnale concreto dell’unicità di ogni donna. Questo non vuol dire che la donna sia ‘unica’ solo quando fa figli. È certo però che la perdita di questo suo carattere distintivo – in nome di una falsa emancipazione del femminile, che ha disgiunto sessualità e procreazione – ha prodotto un’umanità più povera, segnata dalla piaga di una preoccupante denatalità, con la conseguente sfiducia nel futuro proprio delle giovani generazioni. Non va comunque dimenticato che la corporeità della donna è anche fonte di un incredibile irraggiamento simbolico. Nella misura in cui esprime apertura e custodia della vita, diventa anche il segnale che questa energia in più è la sua forza e il suo riscatto, che può tradursi nei mille gesti di condivisione, di diffusione affettiva, di predisposizione a tutte quelle forme che dicano espansione feconda del bene. Questa è la storia di Maria, che deve diventare anche la nostra storia.

AUTORE: Paola Ricci Sindoni