L’accesa disputa sui precetti

Commento alla liturgia della Domenica a cura di Bruno Pennacchini XXII Domenica del tempo ordinario - anno B

Durante il mese d’agosto, la liturgia ha proclamato il Vangelo secondo Giovanni per farci ascoltare il discorso di Gesù sul Pane della vita. Con settembre riprende la lettura, quasi continua, di quello secondo Marco. Per comprendere la portata del Vangelo di questa domenica, dobbiamo ricollocarlo nel suo contesto. Gesù ha sfamato una folla considerevole sulla riva occidentale del lago di Galilea, abitata prevalentemente da ebrei. Marco narrerà più avanti una seconda moltiplicazione di pani (Mc 8), che avverrà sulla riva orientale della stesso lago, dove erano stanziate popolazioni pagane. Fra i due prodigi colloca una discussione tra Gesù e i farisei a proposito di ciò che è puro e di ciò che non lo è; di ciò che è da Dio e di ciò che è dagli uomini. Su questo argomento le prime generazioni cristiane fecero fatica ad intendersi.

Non è agevole per noi, cristiani di oggi, capire il perché di tanta discussione. Lo era invece per i cristiani delle prime generazioni. Nei primi anni dopo la risurrezione di Gesù, i cristiani erano praticamente tutti, o quasi, di provenienza giudaica; ossia ebrei che avevano riconosciuto in Gesù di Nazareth il Messia atteso. Essi continuavano a vivere a somiglianza dei loro padri, tentando di osservare i numerosissimi precetti previsti dai commentatori della Legge di Mosè. Marco ne riporta qualche esempio ai versetti 3 e 4. Essi caratterizzavano anche culturalmente il popolo ebraico. Ben presto però l’annuncio di Gesù Cristo raggiunse anche i pagani. In seno alla comunità nacque allora la domanda: anche i pagani devono osservare i precetti del popolo ebraico? Si formarono due correnti: una, tradizionalista, sosteneva che anche i pagani convertiti erano obbligati alle leggi giudaiche; l’altra riteneva invece che non avevano alcun obbligo, dato che Gesù aveva liberato tutti dal giogo della Legge. La soluzione fu tutt’altro che tranquilla.

Lo stesso Pietro, principe degli apostoli, aveva avuto esitazioni ad entrare in casa del centurione romano Cornelio. Poi lo fece, spinto dallo Spirito santo, e si mise anche a tavola con la sua famiglia. Quando la cosa si seppe nella comunità di Gerusalemme, molti si scandalizzarono e lo rimproverarono. Lui dovette spiegare che non si sarebbe potuto opporre all’azione dello Spirito, che era sceso su quei pagani proprio come era accaduto a loro nel Cenacolo (At 11-15). Le discussioni nella comunità furono ben aspre; fino a quando fu deciso che ai cristiani provenienti dal paganesimo non si doveva imporre l’osservanza delle leggi tipiche degli ebrei. Era nato un popolo nuovo, non più ristretto ad un gruppo etnico, ma ormai universale, che scavalcava lingue, culture, tradizioni. Tuttavia fu necessario del tempo, perché tutti entrassero in questa mentalità.

Marco scrive il suo Vangelo una trentina o quarant’anni dopo la morte e la risurrezione di Gesù, con intento catechetico. In quel momento la comunità cristiana, in certe zone dell’Impero, era composta in gran parte di cristiani di provenienza pagana, sebbene mescolati con quelli di provenienza giudaica. Le due parti avevano ancora bisogno di chiarimenti sull’argomento. In questo contesto, egli ricorda alcuni fatti e certe parole di Gesù in proposito; come quella volta – forse non fu la sola volta – che alcuni farisei, duri e puri, gli fecero osservare che i suoi discepoli mangiavano con le mani sporche. Chiaramente la preoccupazione non era l’igiene, ma l’osservanza delle loro usanze. Gesù ci andò giù veramente pesante. Riprendendo una profezia di Isaia (29,13), li accusò di ipocrisia.

La loro religiosità era insincera, fatta di riti ed osservanze esterne, ma nel profondo erano lontani da Dio: “Voi trascurate il comandamento di Dio e osservate il comandamento degli uomini”. A questo punto il brano liturgico omette alcuni versetti nei quali Gesù esemplifica concretamente il suo pensiero: “Siete veramente abili nel dribblare il comandamento di Dio. Mosè infatti disse: Onora tuo padre e tua madre, e: Chi maledice il padre o la madre sia messo a morte. Voi invece dite: Se uno dichiara al padre o alla madre: ciò con cui dovrei aiutarti è korbàn, cioè offerta a Dio, non gli consentite di fare più nulla per il padre o la madre. Così annullate la parola di Dio con la tradizione che avete tramandato voi. E di cose simili ne fate molte”.

Questo disse ai farisei che lo avevano provocato. Poi si rivolge a tutto il popolo e in buona sostanza dice loro: attenti bene che il problema per l’uomo non sta in quello che mangia o beve, ma ciò che gli esce dalla bocca; perché in realtà esce dal profondo di se stesso. Non c’è nulla sulla bocca che non venga dal cuore. Poi si rivolge ai discepoli, chiarendo ulteriormente il suo pensiero e chiama per nome ben dodici aspetti della malvagità umana. (Mc 7,21-22; abbiamo imparato che il numero 12 non è mai casuale, ma richiama sempre una totalità perfetta). Questa parola interpella tutti noi: non è vero che spesso trascuriamo l’essenziale per andare dietro alle nostre piccole tradizioni?

 

AUTORE: Bruno Pennacchini, Esegeta, già docente all’Ita di Assisi