L’annuncio e l’incredulità

Commento alla liturgia della Domenica a cura di Bruno Pennacchini XIV Domenica del tempo ordinario - anno B

La parola “vita” presiedeva la liturgia di domenica scorsa; la parola “rifiuto” o “incredulità” presiede quella di questa XIV domenica del Tempo ordinario. La persona rifiutata è Gesù, come ascolteremo dal Vangelo secondo Marco. La figura di Ezechiele, che Dio manda al Suo popolo dopo averlo avvisato che la sua predicazione sarebbe stata rifiutata, apre la liturgia della Parola. La vicenda della vocazione di Ezechiele è raccontata dal profeta stesso, in prima persona: “Dio mi disse…” (Ez 2,2-7). Dio gli ordina di andare al Suo popolo, che perà non lo ascolterà; egli dovrà comunque parlare a Suo Nome, “ascoltino, o non lo ascoltino”.

Questo compito, a cui egli rimarrà fedele, sarà la tragedia della sua vita. Non è difficile rendersene conto: ciascuno pensi alla difficoltà che incontrerebbe nel dover parlare a un uditorio, sapendo in precedenza che non sarà ascoltato, ma che dovrà comunque parlare. E questo non una volta tanto, ma di continuo. Ezechiele parlerà, ma non sarà ascoltato. Nel seguito del suo libro si narra come, a causa di tale rifiuto, egli rimanesse muto. Sarà un segno di Dio per il popolo ribelle. Dio gli dice: “… così non sarai più uno che li rimprovera” (Ez 3,26).

Siccome si rifiutano di accogliere il segno della Parola, Dio prova a smuoverli, mostrando loro un altro segno: un profeta muto. Contraddizione vivente: un profeta, che per definizione è un parlatore, è muto. La gente domandava spiegazioni. A causa del rifiuto di ascoltare, il popolo sarà punito a non avere più qualcuno con cui confrontare la propria vita. La lingua di Ezechiele si scioglierà solo quando non ci sarà più tempo, perché la catastrofe si sarà ormai abbattuta su Gerusalemme (Ez 33,22). È un avvertimento per noi e per la nostra generazione. Molte volte mi sono sentito dire: è inutile che predicate, tanto nessuno vi ascolta. Che serve parlare, se nessuno ascolta? La risposta è nel libro di Ezechiele e nella liturgia di questa domenica.

Dopo avere narrato alcuni miracoli, culminati con la resurrezione della figlia del capo della sinagoga, Marco introduce un altro tema, catecheticamente molto impegnativo: il rifiuto della persona di Gesù. La parola che conclude il racconto, e sintetizza tutto l’insegnamento di oggi, è incredulità. I suoi paesani si rifiutano di credergli, al punto che Egli se ne rimarrà stupito e non potrà compiere segni miracolosi. Dopodiché lascerà Nazareth e comincerà un giro di predicazione in altri villaggi. Nelle prossime domeniche ascolteremo l’invio dei Dodici in missione. Essi sono avvertiti: non sarà una passeggiata, saranno rifiutati, come lo è stato Lui; perché nessun discepolo può essere migliore del maestro.

Il racconto di Marco è molto dettagliato. Per prima cosa riferisce che Gesù torna al suo paese, dove è cresciuto e dove abita ancora la sua famiglia. Il sabato va in sinagoga, come fa ogni ebreo osservante; è invitato, secondo l’usanza, a dire parole di esortazione all’assemblea liturgica, a conclusione dei riti previsti. Gesù evidentemente accetta l’invito; ma il suo insegnamento risultò talmente diverso da quello che tutti si aspettavano, che rimasero shockati. Cominciarono a circolare domande. La prima fu: “Da dove gli vengono queste cose?”. Domanda sensata: era il figlio del falegname del villaggio, non aveva compiuto studi accademici; non sarà per caso un fenomeno demoniaco? In questo caso va denunciato senza indugio alle autorità religiose.

Si trattava anche di sapere “chi gli ha dato questa sapienza”. Si domandarono anche come mai dalle mani callose di un falegname uscissero tanti prodigi. E ancora domande sempre più paesane – in paese ci si conosce tutti -: “Non è forse il figlio di Maria? E fratello di…”. Prima di andare avanti, conviene chiarire un paio di cose. Come mai la gente lo chiama figlio di Maria e non di Giuseppe, come sarebbe stato normale? Perché Giuseppe probabilmente era già morto: i figli delle vedove si usava chiamarli con il nome della madre. A proposito dei fratelli e delle sorelle, bisogna sapere che nelle culture semitiche si usa, ancora oggi, chiamare fratello e sorella ogni membro del clan a cui si appartiene; e non solo i figli dello stesso padre o della stessa madre. Era tutto troppo fuori degli schemi consolidati; sinceramente c’era di che scandalizzarsi. E infatti si scandalizzarono. Gesù non si offese per questo; si limitò a costatare che “nessun profeta è accetto in patria”

. Erano secoli che avveniva così. Ciò di cui rimase meravigliato fu la loro mancanza di fede, per cui non poté operare prodigi, tranne qualche guarigione. Noi, discepoli di Gesù nel XXI secolo, non possiamo aspettarci un destino più tranquillo di quello del Maestro. Altrove gli evangelisti riferiranno, a proposito, un’altra parola: “Vi mando come pecore tra i lupi”. E non viceversa.

 

AUTORE: Bruno Pennacchini, Esegeta, già docente all’Ita di Assisi