Lazzaro, il povero, alla porta dei ricchi

Commento alla liturgia della Domenica a cura di Oscar Battaglia XXVI Domenica del tempo ordinario - anno C

La parabola di oggi inizia come quella di domenica scorsa. Forse Luca vuole metterle a confronto almeno su un punto: l’amministratore disonesto è ammirato perché ha pensato al futuro, facendosi amici col denaro del padrone; il ricco di questa parabola invece non pensa al futuro, tutto dedito a godersi la vita in maniera spensierata. Il racconto delle sue vicende è fatto da Gesù con immagini popolari, perfino un po’ naif. Si prefigge lo scopo di lanciare un allarme sul pericolo delle ricchezze, non di descrivere l’oltretomba. Per farlo, usa l’immaginario ebraico del suo tempo, che concepiva l’aldilà proiettandovi l’esperienza religiosa singolare che viveva. Così l’oltretomba è descritta come un rovesciamento di situazione nei confronti della vita terrena, del resto già annunciato da Maria nel suo cantico (Lc 1,51-53) e enunciato da Gesù stesso nelle beatitudini e nei ‘guai’ del discorso ai piedi del monte (Lc 6,20-25).

Due sono i personaggi principali della vicenda: un ricco anonimo e un povero di nome Lazzaro. Il povero è l’unico personaggio delle parabole di Gesù ad avere un nome, e quindi un’identità precisa davanti a Dio e agli uomini, segno di profonda considerazione. Il nome è stato scelto forse per il suo significato etimologico: Lazzaro significa “Dio aiuta”. Colui che non trova aiuto alcuno dal ricco, trova aiuto e giustizia da Dio. Il ricco è presentato con poche pennellate essenziali: vestito di porpora e bisso per descrivere il suo lusso sfacciato, intento a banchettare lautamente, segno del godimento materiale, l’unico che sappia apprezzare. Anche Lazzaro è descritto con poche battute significative: giace accovacciato, alla maniera di un mendicante, al portone del ricco, con una gran fame che gli lacera lo stomaco mentre guarda con desiderio i pezzi di pane, con i quali il ricco si pulisce le mani, gettati a terra.

Gli unici ad accorgersi del povero sono i cani randagi, affamati come lui, che vengono a leccargli le ferite. In queste immagini c’è la povertà in tutta la sua crudezza. La situazione si rovescia al momento della morte dei due protagonisti. Ambedue entrano nello sheol, nell’oltretomba concepito alla maniera popolare ebraica. C’è uno spazio in alto riservato ai buoni, chiamato ‘seno di Abramo’, ad indicare l’intimità della casa del padre dei credenti, la tavola dove egli siede con gli altri padri e con gli eletti (Lc 13,28-29); e un luogo, in basso, di dannazione, riservato ai reprobi bruciati dal fuoco del giudizio divino, chiamato Geenna, dove è pianto e stridore di denti (Lc 12,5; 13,28). Tra i due luoghi c’è solo comunicazione visiva e uditiva, destinata a nutrire e accrescere il rimpianto dei dannati. Si intuisce facilmente che siamo davanti ad una ricostruzione fantastica, con un sicuro impatto sul piano dell’insegnamento. Qui è costruito il dialogo tra il ricco ed Abramo.

C’è il grido dello sfortunato che sale verso il padre dei credenti per avere un piccolo sollievo alla sue sofferenze, condensate nella sete bruciante che il ricco sta soffrendo nel fuoco. Chiede di inviare Lazzaro ad bagnargli la lingua con una goccia d’acqua, lui che, in vita, gli ha rifiutato un tozzo di pane. Abramo risponde che non c’è più alcuna di possibilità di comunicazione tra lui e Lazzaro, poiché è stato proprio lui ad interrompere ogni comunicazione in vita. Il ricco con il suo egoismo e la sua indifferenza ha creato un abisso di vuoto ormai incolmabile nei confronti del povero. L’incomunicabilità in vita ha creato l’incomunicabilità dell’oltretomba. Il ricco si è scavato l’abisso con le sue mani, ora non può pretendere di gettare ponti impossibili su quel terribile vuoto. Siamo nel cuore della parabola, che lancia un messaggio estremamente serio: la ricchezza può creare la chiusura del cuore, che a sua volta porta ad ignorare la povertà e la sofferenza altrui.

Proprio questo atteggiamento egoistico chiude la strada della salvezza eterna. Gesù non ce l’ha con i ricchi per partito preso: anche loro sono figli di Dio, da lui amati e non esclusi aprioristicamente dalla salvezza. Gesù ha avuto amici ricchi e agiati, dei quali è stato ospite. Per lui non ha valore la divisione di classe, ma l’atteggiamento interiore di amore e di condivisione. Non sono le ricchezze a condannare un uomo: esse possono essere state ereditate o guadagnate con duro impegno. A condannare un ricco è l’egoistico godimento dei suoi beni, la sfacciata esibizione del lusso, la spensieratezza che gli impedisce di vedere la povertà che lo circonda.

Le ricchezze rischiano di chiudere l’animo, violando le esigenze evangeliche più elementari dell’amore di Dio e del prossimo, colpendo così al cuore la fede cristiana. Questo ha fatto il ricco della parabola, che si è rovinato con le sue stesse mani. Il suo posto è l’inferno, dove non esiste l’amore, che ha rinnegato. La seconda richiesta del ricco dannato esprime un residuo di amore per i suoi fratelli ancora in vita, ma un amore chiuso solo all’interno della sua famiglia. Chiede che Lazzaro compaia loro e li ammonisca del rischio che stanno correndo, e che lui ha affrontato spensieratamente a sue spese. La risposta di Abramo è ancora negativa. Dio ha donato all’uomo la Sua parola, questa deve bastare per guidarlo sulla via della vita. Ma bisogna ascoltarla. I miracoli possono impressionare, ma non necessariamente convertire. Solo l’ascolto della parola di Dio apre il cuore al dono di fede e induce a cambiare vita. È un monito per tutti!

AUTORE: Oscar battaglia