L’esempio di don Andrea

Parola di vescovo

Felice intuizione quella di Papa Benedetto XVI di indire un ‘anno sacerdotale’ in occasione del 150’della morte del Curato d’Ars, san Giovanni Maria Vianney. Per noi umbri, dono davvero grande di grazia la coincidenza dell’inizio della causa di beatificazione e di canonizzazione di don Andrea Bonifazi, giovane sacerdote della diocesi di Spoleto-Norcia, la cui fama di santità varca i confini della diocesi sorella, perché esercitò il ministero dell’insegnamento biblico presso l’Istituto teologico di Assisi e presso l’Istituto di scienze superiori, collaborò con l’Ufficio catechistico nazionale, promosse alcune iniziative biblico-pastorali, quale la Scuola di preghiera con la lectio divina a Collerisana di Spoleto e predicò corsi e ritiri in tutte le diocesi umbre. L’11 giugno scorso, nella solennità del Corpus Domini, con il giuramento del Tribunale durante la solenne liturgia nella cattedrale di Spoleto, è iniziata la procedura prevista per l’esame delle virtù eroiche del Servo di Dio. Ad appena 42 anni, il 25 dicembre 1998, don Andrea aveva chiuso la sua esistenza terrena per una grave leucemia, ma di lui si può ripetere l’elogio biblico: ‘Giunto in breve alla perfezione, ha conseguito la pienezza di tutta una vita’ (Sap 4,13). Perennemente efficace la testimonianza del santo Curato d’Ars, presentato dalla Chiesa quale patrono e modello di tutti i parroci del mondo, ma certamente per noi umbri è particolarmente efficace la testimonianza di questo sacerdote conterraneo, che molti abbiamo personalmente conosciuto ed amato. Una testimonianza che ravviva nelle nostre comunità la stima, e per i giovani l’attrazione della vocazione sacerdotale, e per noi preti il coraggio di proseguire con rinnovata speranza il cammino della nostra santificazione, per ridare ‘sapore’ al nostro ministero, arricchendolo della ‘fecondità dello Spirito’, invece di disperderlo in un affaticante, vano e deludente superattivismo. Un cammino che può specchiarsi fraternamente su quello di don Andrea, basato sulla sacra Scrittura, la cui intelligenza egli attingeva all’azione dello Spirito santo, nella celebrazione quotidiana dell’eucaristia e nella perseverante preghiera; un cammino di sincera carità in particolare verso i sacerdoti più anziani, per i quali si prodigava anche per i servizi più umili; un camino di umiltà e obbedienza, contento delle tre parrocchie affidategli dal Vescovo, da quella di Villamagina di Sellano a quella di Verchiano di Foligno e all’ultima di Baiano di Spoleto, che servì con generosa dedizione, senza pretendere posti più in vista vantandosi delle sue risorse intellettuali o dei titoli acquisiti o della specializzazione riconosciutagli nell’ambito scientifico. Esigente con se stesso, orientò molti giovani all’amicizia con Dio e al dominio e alla donazione di sé. La sua silenziosa carità riusciva a coinvolgere anche i più lontani dalla Chiesa. La piccola, vecchia automobile, che fu l’unica della sua vita, necessaria per spostarsi sulle sue montagne, testimoniava il distacco dai beni materiali nella misura del ‘tanto quanto’ ignaziano. I medici del reparto oncologico del Policlinico di Perugia ricordano come non si lamentasse mai dei fortissimi dolori che il male gli procurava. Del resto uno dei motti che gli furono più cari e che è stato posto sulla sua tomba fu: ‘La sofferenza rafforza la fede’. Nell’ isolamento dell’ultimo mese, don Andrea volle con sé, oltre il breviario, il libro di Qoelet e quello di Giobbe, che furono i testi biblici cui legò con passione la sua vita.

AUTORE: ' Pietro Bottaccioli