Liberi da paralisi interiori

Commento alla liturgia della Domenica a cura di Bruno Pennacchini VII Domenica del tempo ordinario - anno B

Marco continua ad accompagnarci alla ricerca di Gesù. “Chi è costui?”: come abbiamo detto altre volte, l’evangelista ha strutturato il suo racconto attorno a questa domanda. A metà della narrazione (Mc 8,29), avremo una prima risposta, per bocca di Simon Pietro: “Tu sei il Cristo”. E alla fine del percorso terreno di Gesù, sotto la croce, un centurione romano riconoscerà: “Veramente quest’uomo era figlio di Dio” (15,39). Il primo era un discepolo della prima ora, il secondo un pagano, lontanissimo; la leggenda racconta che era italiano, calabrese. La scorsa domenica abbiamo incontrato un lebbroso che con grande coraggio si inginocchia davanti a Gesù, chiedendo la guarigione del corpo. E la ottiene. Oggi ci incontriamo con un uomo paralizzato, portato in barella, che Gesù guarisce a partire dal profondo dell’anima: lo dichiara perdonato dai suoi peccati. Il lebbroso era metafora del portatore di una malattia mortale. Il paralitico è immagine dell’impotenza totale. Il lebbroso poté prendere l’iniziativa di andare da Gesù, il paralitico non può prendere alcuna iniziativa; altri lo fanno per lui; ed erano in quattro. Non si può inginocchiare come il lebbroso, perché è disteso, bloccato, incapace di movimento; ogni cammino gli è precluso. Ma andiamo ad ascoltare il racconto di Marco, ricco di simboli e suggestioni. La prima informazione che ci è data è che Gesù si trova di nuovo a Cafarnao, e si viene a sapere che è in casa.

La folla si raduna, entrano in casa, riempiono anche il cortiletto, si accalcano sulla porta in mezzo alla strada. Conviene notare che la struttura delle case di Cafarnao non aveva niente a che fare con i moderni appartamenti e nemmeno con le nostre vecchie case di campagna. Avevano dimensioni molto piccole, si sviluppavano attorno a un cortiletto, erano basse, spesso coperte con materiale vegetale, altre volte avevano una specie di terrazza, a cui si accedeva da una scaletta esterna, di pietra. A tutta questa gente Gesù annunciava la Parola, cioè parlava loro delle cose del Padre e del Suo amore per gli uomini. E tutti ascoltavano. Arrivano quattro ritardatari che portano una barella con sopra un uomo paralizzato. Tentano di raggiungere Gesù attraversando la folla, che però è così compatta e impenetrabile da non permettere il passaggio. Allora prendono una decisione drastica: salgono sul tetto per la scaletta esterna, lo scoperchiano e calano la barella con il malato davanti a Gesù. Gesù vede in questo traffico un segno della loro fede; ma loro non può vederli, perché stanno sul tetto.

Vede invece innanzi a sé il poveretto paralizzato, a cui rivolge parole di consolazione: “Figlio, i tuoi peccati sono perdonati”. Come dire: ti è strappata da dentro la radice della paralisi, che ti impedisce ogni movimento, ti priva di ogni libertà, ti rende incapace di scelte. Non sappiamo come abbia reagito il malato a queste parole, né la gente che riempiva la casa. Sappiamo invece quale fu la reazione di alcuni scribi (leggi: intellettuali), che mentre tutto attorno a loro si muoveva, “sedevano e ragionavano dentro di sé” (2,7): questo è pazzo, si dicevano; nessuno può rimettere i peccati, tranne Dio.

Effettivamente la dottrina comune di allora affermava che solo Dio ha questo potere, che non poteva delegare a nessuno. Dimenticavano veramente quella scrittura che dice che “l’Eterno trasmise al Figlio dell’Uomo potere, gloria e regno” (Dn 7,14). Dunque anche il potere di rimettere i peccati. Ciò che Gesù rivendicherà fra poco. Egli intuisce i segreti ragionamenti dei “seduti” e li rimbecca: “È più facile dire a questo malato: Ti sono perdonati i peccati, o dirgli: Alzati, caricati la barella e torna a casa?”. Come abbiamo ascoltato, al comando di Gesù il paralitico si alza, carica la barella e se ne va a casa, alla presenza di tutti. Dunque Gesù, che è Figlio dell’Uomo, ha il potere di rimettere i peccati. Della folla che aveva assistito al fatto si dicono due cose: “furono stupefatti” e “lodavano Dio, dicendo: “Non abbiamo mai visto mai niente di simile” (2,12). Marco ci sta insegnando a scoprire Gesù, non solo raccontandone i miracoli, ma ricostruendo ambienti, personaggi, atmosfere, dove tutto diventa “segno”.

Un paralitico è un uomo disteso, incapace di movimento, di autonomia; Gesù lo rimette in piedi, lo sblocca, gli rende movimento, libertà; ora può mettersi in cammino. Gesù punta immediatamente alla radice della paralisi, che non è tanto nelle nostre membra, ma in fondo all’anima. Dall’altra parte della scena compaiono gli “scribi”, seduti, altrettanto immobili, ben istallati nelle loro certezze, che non desiderano nulla, se non rimanere indisturbati là dove sono. Insieme al paralitico ci sono i portatori, che gli permettono di comparire innanzi al Figlio dell’Uomo. Forse erano i “predecessori” di coloro che portarono ciascuno di noi a incontrare Gesù.

AUTORE: Bruno Pennacchini Esegeta, già docente all'Ita di Assisi