“Esdra, lo scriba, aprì il libro alla vista di tutto il popolo, poiché si trovava in un posto rialzato rispetto al popolo; quando lo aprì, tutti si misero in piedi”.
Prima lettura
Con queste parole l’autore del libro di Neemia vuol significare tutta la solennità della proclamazione della Legge di Mosè e la partecipazione attiva, nonché l’assenso ossequioso da parte del popolo alla Legge stessa. La circostanza è la liturgia della festa delle Capanne e il coinvolgimento dell’assemblea è tale che alza le mani, si inchina, si prostra e piange.
L’intera descrizione lascia intendere il forte senso di responsabilità di fronte alla Parola del Signore, e soprattutto la consapevolezza che accoglierla comporta scelte impegnative ma certamente realizzanti.
Salmo
La liturgia ci presenta in risposta a questa lettura il Salmo 18 che è un inno di lode al Signore creatore dell’universo e autore della Legge. I versetti proposti infatti, in un ripetersi continuo, esaltano la Legge come “perfetta”, “stabile” che rinfranca l’anima e fa gioire il cuore.
LA PAROLA della Domenica
PRIMA LETTURA
Dal libro di Neemia 8,2-4a.5-6.8-10SALMO RESPONSORIALE
Salmo 18SECONDA LETTURA
I Lettera di Paolo ai Corinzi 12,12-30
Seconda lettura
La II lettura è il seguito di quanto abbiamo ascoltato domenica scorsa. San Paolo continua ad istruire i Corinzi elaborando il paragone del corpo per esplicitare il ruolo e il contributo che ogni credente deve offrire per la realizzazione del bene della comunità. Il corpo è allusione alla Chiesa e la preoccupazione dell’Apostolo è quella di esprimere un messaggio che orienti alla sana convivenza.
Concretamente, essendo la comunità dei credenti costituita da giudei e greci, con la sua originalità Paolo vuol spronarli a credere fermamente nella verità che in Cristo si forma un corpo solo. Anche se le differenze culturali, linguistiche e sociali permangono, sul piano della fede sono annullate in quanto tutti, avendo accolto la Parola del Vangelo, appartengono a Cristo e sono sue membra.
Vangelo
La bella pagina del Vangelo di questa terza domenica del Tempo ordinario propone due distinti brani il primo dei quali coincide con l’introduzione che l’evangelista Luca fa della sua elegante e originale opera presentando il nome del destinatario, le fonti da cui trae il contenuto e la finalità che si prefigge.
Il secondo brano, quello sul quale sostiamo maggiormente, è tratto dal capitolo 4 ed inizia facendo un sommario dell’attività che Gesù ha già avviato pubblicamente. Nello specifico Gesù si trova a Nazareth, cittadina della Galilea dove è cresciuto e l’occasione è data dalla liturgia sinagogale sabbatica.
La prassi vuole che un qualsiasi maschio ‘adulto’ possa essere invitato a leggere e/o commentare la Scrittura (pensiamo alle tante volte che Luca riferisce tale usanza negli Atti degli apostoli in merito alla predicazione di Paolo). Dall’epoca di Esdra e Neemia è infatti invalso il sistema di leggere ciclicamente l’intera Torah (come avviene ancora oggi). Dapprima si legge il testo tratto dalla Torah (parashah) e poi quello tratto dai profeti (haftarah).
Gesù dunque legge e spiega il testo che quel sabato era previsto secondo la calendarizzazione liturgica. Ed è preciso il modo con cui l’Evangelista riferisce la ritualità che caratterizza il culto sinagogale: a Gesù viene dato il rotolo, lo svolge, lo legge, lo riavvolge, lo restituisce e siede. Nel contesto, l’essere seduto, indica tutta l’autorevolezza di colui che tiene il discorso.
Il testo del profeta Isaia letto da Gesù parla di un’investitura profetica finalizzata soprattutto a consolare e a liberare. È una notizia gioiosa perché riguarda l’inaugurazione di un anno di grazia (Lv 25) che riscatterà categorie precise di persone: poveri, prigionieri, ciechi e oppressi. La lettura attenta ci permette di vedere che l’accento è posto sulla ‘liberazione’.
Il binomio guarigione-liberazione è da intendere in modo particolare per gli schiavi divenuti tali perché stranieri o per sconto di debiti contratti. Essi purtroppo venivano maltrattati e l’essere liberati comportava anche l’essere sanati nel fisico e nella psiche. Ebbene, appena conclusa la lettura, Gesù spiega che “oggi si è compiuta questa Scrittura che udite”.
L’ avverbio ‘oggi’ nel linguaggio evangelico non ha solo un’accezione cronologica quanto piuttosto teologica intendendo il momento favorevole che si realizza ogni qualvolta si ‘ode’ e si accoglie il messaggio salvifico della Parola.
Questo viene avvalorato dall’uso del perfetto del verbo (pleròo) che indica il ‘compimento’ come un’azione avvenuta le cui conseguenze hanno effetto ancora adesso. Gesù non addita direttamente la Sua persona, ma invita i Suoi uditori a fare attenzione alla novità che si sta manifestando ai loro occhi.
Noi siamo in una posizione di privilegio rispetto ai nazaretani presenti in sinagoga perché sappiamo che colui che è colmo di Spirito santo e consacrato con l’unzione di cui il profeta Isaia parla è Gesù e i prodigi taumaturgici ed esorcistici che menziona sono quelli che poi san Luca riferirà.
Gesù, stando al contenuto della pericope, si fa presente in un ambito preferenziale: nel giorno di sabato (domenica per i cristiani) e nella comunità. Gesù è lo stesso di duemila anni fa’ e ancora ‘oggi’ ci propone un nuovo “anno di grazia” rappresentato dalle tante occasioni che attraverso la Chiesa possono restituirci la libertà e darci la guarigione.
Giuseppina Bruscolotti