L’ospitalità tra accoglienza e ascolto

Commento alla liturgia della Domenica a cura di Oscar Battaglia XVI Domenica del tempo ordinario - anno C

L’ospitalità della casa di Betania è strettamente legata alla parabola del buon samaritano meditata domenica scorsa. Sono due forme dello stesso amore di accoglienza e di cura del prossimo. A Betania però i due precetti dell’amore di Dio e del prossimo si fondono insieme, perché Gesù è il Figlio di Dio e, accogliendo lui, si accoglie Dio stesso. Perciò questa ospitalità ha un significato più profondo e impegnativo. L’inizio del racconto sembra richiamare l’ingresso dei discepoli in un paese della Samaria che non volle accogliere Gesù perché era diretto a Gerusalemme (9,52s). Qui siamo quasi alle porte della città santa (Betania dista appena 5 km) e Gesù viene accolto con calore in casa di amici.

La famiglia ospitale era composta da tre fratelli: Marta (la sorella maggiore responsabile della casa), Maria e Lazzaro (Gv 11,1ss). Quest’ultimo qui non viene ricordato, forse perché non serviva al confronto degli atteggiamenti di accoglienza. Erano sufficienti le due sorelle per indicare che l’accoglienza cristiana è fatta di servizio e compagnia, di attività e di ascolto, di azione e di contemplazione. Il racconto, proprio per la sua schematicità, conserva tutta la sua forza di rottura e di scandalo nei confronti della mentalità corrente. Era scandaloso che un uomo chiedesse e ottenesse ospitalità in casa di sole donne, e per di più nubili. Le donne erano emarginate dalla vita sociale e religiosa di Israele. Dovevano tenersi lontane da ogni uomo che non fosse il marito o uno stretto parente. Erano discriminate perfino nella liturgia sinagogale, relegate in fondo all’edificio o, meglio, dispensate volentieri dal partecipare a qualsiasi cerimonia religiosa. Bastava il marito o il padre a rappresentarle e ad istruirle nella Legge mosaica.

Gesù non tiene in alcun conto un tale pregiudizio. È aperto a tutti, tanto è vero che, contro ogni regola di buon comportamento rabbinico, si porta dietro nelle sue peregrinazioni perfino un gruppo di donne come discepole fedeli (Lc 8,2-3). Luca, in particolare, descrive più volte il suo comportamento originale e libero nei confronti delle donne. Proprio in forza di questo atteggiamento, Paolo, che fu maestro dell’evangelista, aveva proclamato l’abbattimento di ogni barriera umana di separazione. Tutti, uomini e donne, greci e barbari, hanno la stessa dignità di figli, ugualmente amati e valorizzati da Dio (Gl 3,28). Accogliendo Gesù in casa, le due sorelle si sono divise i compiti: una, Marta, pensa ai preparativi per il pranzo; l’altra, Maria, fa compagnia all’ospite e lo intrattiene amichevolmente. Marta è descritta come la donna affaccendata in cucina per rendere onore all’ospite illustre, Maria è descritta nell’atteggiamento del discepolo accoccolato ai piedi del maestro, in ascolto del suo insegnamento. Proprio questo secondo atteggiamento era severamente condannato dai dottori della legge come scandaloso.

Nessun rabbi poteva insegnare la legge alle donne. Alcuni di essi asserivano, nel Talmud, che “la Legge avrebbe preferito bruciare tra le fiamme, piuttosto che essere affidata alle donne”. Per Gesù invece l’esigenza e l’atteggiamento di Maria è la prima occupazione alla quale chiunque, donna o uomo, dovrebbe dedicarsi. L’evangelista si guarda bene però dal mettere i contrasto questo atteggiamento di ascolto di Maria con il servizio reso da Marta. Quest’ultimo è una diaconia, cioè un servizio a mensa, praticato anche da Gesù con grande amore nei confronti dei discepoli, sia nel cenacolo (Lc 22,27), sia dopo la risurrezione (Gv 21,12-13). Non può perciò essere svaluto a vantaggio di altri servizi nella comunità.

Il servizio della carità nelle mense sarà praticato dagli apostoli, che, per necessità di gestione, ne affideranno il compito a sette collaboratori, appunto i diaconi (At 6,1-3). Con grande cortesia e confidenza, Marta si rivolge a Gesù evitando di dare ordini alla sorella: “Signore, non ti curi del fatto che mia sorella mi abbia lasciato sola a servire?”. Sarebbe stato un gesto di maleducazione nei confronti dell’ospite richiamare direttamente al dovere la sorella. Si rivolge perciò a Gesù perché le dia il permesso di aiutarla nelle faccende domestiche, anche se rimarrà per un momento solo ad attendere. L’invito di Marta è dettato dall’urgenza delle faccende da sbrigare per non ritardare troppo il pranzo, ma anche dal desiderio di essere anche lei della compagnia e sedersi accanto a Gesù quanto prima. Con altrettanto cortesia, Gesù le risponde con un doppio vocativo, che esprime nello stesso tempo simpatia e dolce rimprovero, come fa con Simone nell’ultima cena (Lc 22,31).

L’invito può avere un doppio significato: Gesù dice alla donna di non preoccuparsi troppo di che cosa mettere in tavola; sa bene che lui non ha esigenze in tal senso, si contenta di poco, basta una cosa sola per le sue abitudini alimentari. La esorta poi a ‘non affannarsi’, cioè a non lasciarsi prendere dalla frenesia del fare, perché allora si entra in fibrillazione e si gira a vuoto. L’attivismo è sempre una grande tentazione per chi si mette al servizio di Dio e vede le tante cose da fare per aiutare il prossimo al più presto. Certe cose non si possono rimandare, bisogna farle presto e bene, ma non a scapito della vita spirituale. C’è un primato da rispettare nella vita di fede: prima bisogna mettersi in ascolto di Dio, assimilando la Sua parola, poi agire di conseguenza.

L’azione senza la contemplazione si esaurisce presto e diventa attivismo vuoto. L’azione a la contemplazione sono due tipici atteggiamenti della vita cristiana, ugualmente necessari, perché la fede senza le opere è morta. Ambedue sono espressione dello stesso amore di Dio e del prossimo. Non per niente Marta e Maria sono due sorelle ugualmente amate e apprezzate da Gesù, non contrapposte, ma associate. La precedenza va accordata però alla contemplazione; è ‘la cosa buona’, la parte migliore, che non può e non deve mai mancare anche nel cristiano più impegnato. L’insegnamento, come si vede, supera la lettera del racconto, esce dalle mura domestiche di Betania e si rivolge a tutti noi che ci ritroviamo impersonati nelle due sorelle, ambedue affezionate a Gesù e impegnate ad ascoltare e servire.

AUTORE: Oscar Battaglia