L’Ospite divino da accogliere in casa

Commento alla liturgia della Domenica a cura di Oscar Battaglia V Domenica del tempo ordinario - anno B

Viviamo spesso in case vuote, assediate dalla paura degli estranei. Le abbiamo dotate di porte blindate e di videocitofoni per scoraggiare e selezionare i visitatori indesiderati. Abbiamo perso il senso e il calore dell’ospitalità. Nei nostri paesi una volta le case rimanevano sempre aperte, ci si dimenticava di togliere la chiave perfino di notte. Era un passaggio continuo di ospiti amici, di conoscenti, di mendicanti, di bisognosi in cerca di aiuto. Entravano spesso senza bussare nella grande cucina col focolare sempre acceso. Trasferiti in città, ci siamo chiusi. Le case sono più belle e dotate di comodità, ma siamo soli e, quel che è peggio, sospettosi e diffidenti. La necessità di difenderci dai malintenzionati non deve farci perdere la ricchezza dell’ospitalità e dell’accoglienza. Sta a noi trovare il non facile equilibrio tra queste due esigenze.

Il Vangelo che oggi leggiamo ci può aiutare, sempre che guardiamo le cose con sguardo di fede e di umanità. Gesù ha appena terminato il rito liturgico nella sinagoga di Cafarnao ed entra come ospite graditissimo nella casa di Simone-Pietro. Tutto il racconto gira intorno a lui e alla sua casa, da quando Gesù lo ha chiamato per primo sulla rive del lago. Simone e suo fratello Andrea erano di Betsaida, un paesino affacciato sulla riva settentrionale del lago di Genezaret (Gv 1,14). Dopo il suo matrimonio si era trasferito a Cafarnao insieme a suo fratello e qui aveva impiantato una cooperativa di pesca insieme ai figli di Zebedeo, Giacomo e Giovanni. Sappiamo di sua moglie dal fatto che Gesù gli guarisce in casa la suocera. Paolo ci dice che la moglie seguirà poi Pietro nei suoi viaggi apostolici (1 Cor 9,15), un aiuto preziosissimo per l’apostolato tra i circoli femminili, i ginecei impenetrabili ai maschi.

Gesù è accompagnato dai suoi primi quattro discepoli che ormai non lo lasciano più e lo seguono come la sua ombra. Entrando in casa di Pietro, trova in un angolo la suocera di costui, coricata su una stuoia, in preda ad una forte febbre. Gliela presentano con il segreto desiderio che la guarisca. Non chiedono nulla, solo presentano a Gesù la loro situazione familiare. Sono sicuri che lui non potrà rimanere indifferente. Hanno appena assistito, in sinagoga, ad un portentoso miracolo che sta facendo chiasso in città. Gesù non si fa pregare e mette in atto la sua straordinaria potenza taumaturgica, anche per ripagare la generosa e affettuosa ospitalità di quella famiglia. Il miracolo è raccontato con estrema sobrietà e semplicità: non ci sono apparati scenici, non vengono usate nemmeno parole potenti. Ma lo schema è quello di tutti i miracoli evangelici: l’incontro diretto col malato, la descrizione della malattia, la richiesta di guarigione (implicita), il gesto risanatore, la costatazione della guarigione avvenuta.

Qui tutto è centrato sul gesto di Gesù, che si avvicina, prende la donna per mano e l’aiuta ad alzarsi dal letto senza dire una parola. Per indicare il rimettersi in piedi della donna, Marco usa il verbo greco eghèirein, il verbo tecnico della risurrezione. Questo richiama un altro miracolo narrato più tardi, quello della risurrezione di una ragazza, figlia di Giairo, proprio a Cafarnao. A quell’uomo era morta la figlia dodicenne. Venne disperato da Gesù a chiedere aiuto ed egli lo seguì in casa sua; “entrato dove giaceva la fanciulla, le prese la mano e le disse: ‘Alzati (ègheire)!’ Quella si alzò e si mise a camminare” (5,41s). Gesù cercava il contatto fisico con i malati, stendeva la mano quasi a far scattare la scintilla della vita, come nella creazione dell’uomo dipinta da Michelangelo nella Cappella Sistina. Due famiglie, due donne, una anziana e una giovane, guarite dalla malattia e dalla morte nella propria casa. Aprire la casa a Cristo è aprirla alla salvezza. Risuona qui la compiacenza del Giudice divino: “Ero forestiero e mi avete ospitato” (Mt 25,35).

In casa di Pietro la suocera è guarita. Le forze le sono ritornate e subito lei si mette a servire i commensali. Una donna attiva, abituata a servire, sempre in movimento; nessuno riesce a farla sedere comodamente a tavola. Per i primi cristiani quella suocera divenne il tipo della vedova cristiana che si mette al servizio dei più bisognosi della comunità. È il prototipo dei volontari Caritas delle nostre parrocchie, che esercitano l’accoglienza a nome di tutti. Con quella donna guarita tutta la casa si apre al servizio degli altri. Pietro spalanca le porte. Così al tramonto del sole, quando ormai terminava il riposo sabbatico, ‘gli portavano tutti i malati e gli indemoniati; tutta la città era davanti alla porta’. E porte si aprono, la casa si allarga all’intera società, il servizio della donna diventa il servizio della famiglia a tutti i bisognosi.

Aprire la casa a Cristo significa aprire la casa ai poveri e ai bisognosi, senza paura. L’ospitalità si può allargare in modi e forme diversi. Ogni famiglia veramente cristiana diviene un centro sociale di servizio al prossimo. Marco non si ferma qui nel suo racconto: l’accoglienza si allarga a cerchi concentrici anche fuori dei confini del paese e della parrocchia. Racconta che Gesù dormì in casa di Pietro, ma il mattino presto, quando era ancor buio, uscì per pregare in un luogo solitario. Spesso Gesù si ritirava da solo a pregare. Lo faceva specialmente quando doveva prendere una decisone importante. La decisione che ha preso, la comunica a Simone che lo cerca per riportarlo a casa. Pietro gli dice che ha la casa assediata dalla gente: “Tutti ti cercano!”. Gesù gli dice che ha deciso di lasciare Cafàrnao e di allargare il suo raggio di apostolato all’intera Galilea, e invita Simone e i suoi compagni ad andare con lui, nei paesi vicini.

Il cuore di Cristo non conosce confini, abbraccia vicini e lontani. Chiede a Simone e agli altri seguaci di uscire da visoni campanilistiche e nazionalistiche. L’accoglienza cristiana ha dimensioni universali: nessuno è straniero, tutti sono fratelli da accogliere e da curare. Anche lo straniero emigrato, che bussa alla nostra porta oggi più che mai. Il Gesù da ospitare veste i suoi panni sgualciti di povero e di bisognoso. In lui accogliamo o respingiamo Cristo stesso: “Ogni volta che avete fatto questo a uno solo di questi mie fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40).

AUTORE: Oscar Battaglia