Misure anti crisi

Stiamo affrontando una Quaresima ricca di spunti per arginare una crisi che si presenta spaventosa sia a livello mondiale che per tante famiglie. Da ogni parte la Chiesa sta coniugando la pratica del digiuno con una carità doverosa, ed è così che va veramente interpretato il digiuno quaresimale: ci priviamo di qualcosa per soccorrere chi ha più bisogno. Ed è così che possiamo interpretare nella maniera migliore l’eucaristia: non siamo invitati alla Cena del Signore solo per noi, per la nostra salvezza, ma per esser capaci di dare a nostra volta la vita per gli altri. L’eucaristia per noi cristiani è la misura della vita, è l’occasione formativa più importante per partecipare alla creazione di un mondo nuovo, più giusto e fraterno. Si imparano nuove regole, si ascolta costantemente il progetto di Dio e lo si contempla definitivamente nella morte e risurrezione di Cristo, per poi assumerlo e realizzarlo nella quotidianità, in prima persona, in famiglia, nella comunità e nel mondo. Questo stile eucaristico è antico come la Chiesa, anche se facciamo ancora fatica a intenderne la semplicità e le conseguenze pratiche, addirittura politiche. C’è un episodio nella vita di un grande santo, Agostino di Ippona, molto venerato da Benedetto XVI, che viene citato dallo stesso Papa come una nuova fase di maturazione della conversione agostiniana e che coincide proprio con l’esperienza dell’eucaristia (cfr. omelia a Pavia, aprile 2008). Il vescovo Agostino si trova in una fase di delusione, come racconta nelle Confessioni: ‘Atterrito dai miei peccati e dalla mole della mia miseria, avevo ventilato in cuor mio e meditato una fuga nella solitudine’. Non sappiamo a quali circostanze particolari si riferisse. Si tratta di un bilancio negativo della sua esistenza: si fa e si predica, ma le cose non cambiano molto. Quel cambiamento del mondo tanto desiderato tarda a venire; è pur sempre l’ingiustizia a vincere, forse la violenza. Allora che fare? Non è meglio ritirarsi, dimettersi, per salvare almeno la propria anima? Era così bello convertirsi all’ideale contemplativo di sant’Antonio, che tanti frutti aveva portato alla Chiesa. Ora invece tutto sembra così confuso e difficile… Ancora una volta la risposta gli viene dall’ascolto della Parola. È ancora Paolo che lo illumina, come già nel giardino di Milano. E la risposta suona così: ‘Tu me lo impedisti (di fuggire nella solitudine del deserto), confortandomi con queste parole: ‘Cristo morì per tutti affinché i viventi non vivano più per se stessi, ma per Chi morì per loro’ (2Cor 5, 15)’. Era come la chiamata di Cristo a Saulo: è Cristo stesso che parla e si identifica nel popolo e nella Chiesa in cui vive Agostino. Il riferimento al mistero pasquale di Cristo è evidente, e Agostino ne trae subito le conclusioni. ‘Ecco, Signore, lancio in te la mia pena, per vivere; contemplerò le meraviglie della tua legge. Tu sai la mia inesperienza e la mia infermità: ammaestrami e guariscimi. Il tuo Unigenito, in cui sono nascosti tutti i tesori della sapienza e dalla scienza, mi riscattò col suo sangue. Gli orgogliosi non mi calunnino, se penso al mio riscatto: lo mangio, lo bevo e lo distribuisco; se povero, desidero saziarmi di lui insieme a quanti se ne nutrono e si saziano. Loderanno il Signore coloro che lo cercano’ (Confessioni X, 43, 70). È l’eucaristia la risposta e la soluzione al problema esistenziale e pastorale del vescovo Agostino. Nella semplicità dell’eucaristia c’è tutto il progetto umano e politico, che risponde alle esigenze di ogni emergenza storica e sociale. Mangiamo e beviamo il nostro riscatto, per essere capaci di distribuirlo, per essere cioè capaci di dare da mangiare a chi ne ha bisogno e non ne ha. Il primo tentativo di Gesù andò male, quando disse ai discepoli che fossero loro a dar da mangiare alla folla. Rimediò lui, per poi lasciarci il metodo e l’esempio da imitare: l’eucaristia della domenica.

AUTORE: Giovanni Scanavino