Nessuno è prete isolato dagli altri

Il Papa ha recentemente ribadito il valore della fraternità sacerdotale, che in determinati casi può diventare vita comune

Terminato l’Anno sacerdotale, Benedetto XVI manifesta una continua attenzione per la formazione e la vita del clero. Di recente ha richiamato l’importanza che i sacerdoti non vivano isolati, ma mantengano tra loro vive relazioni e, quando è necessario, conducano anche qualche forma di vita comune. Non si è ministri di Dio in modo autonomo ed isolato. La prima grande comunione dei presbiteri è quella con il Vescovo, “cui sono uniti con animo fiducioso e grande” (LG 28) nell’impegno di annuncio, di santificazione e di guida del popolo di Dio. Inoltre, in forza della comune sacra ordinazione e missione tutti i sacerdoti sono legati tra loro da un’intima fraternità, che – già secondo il Concilio – deve manifestarsi nel reciproco aiuto, nella preghiera, nella comunione di vita. Il decreto conciliare sul ministero e la vita sacerdotale sintetizza bene: “Nessun presbitero è quindi in condizione di realizzare a fondo la propria missione se agisce da solo e per proprio conto, senza unire le proprie forze e quelle degli altri presbiteri, sotto la guida di coloro che governano la Chiesa” (PO 7). La logica della comunione contrasta con la chiusura di chi, pur svolgendo bene il proprio ministero, non è disposto a lavorare con i presbiteri vicini. In questo senso la qualità di vita di una comunità cristiana si coglie non nell’essere autosufficiente, ma dall’essere aperta con convinzione alle altre comunità presenti nel territorio. La comunione nel lavoro pastorale può condurre taluni presbiteri a intraprendere qualche forma di vita comune. La scelta non dovrebbe essere motivata solo da fattori funzionali, come ad esempio dal fatto che si razionalizzano spazi, tempi e risorse. La vita in comune non è una strategia per rispondere alla solitudine o alla debolezza della persona. Invece, la vita fraterna deve essere concepita e vissuta “come strada per immergersi nella realtà della comunione”. Lo ha detto il Papa nell’udienza all’assemblea generale della Fraternità sacerdotale dei missionari di san Carlo Borromeo. La vita comune, infatti, esprime la realtà della Chiesa; è dono di Cristo da accogliere, prima che sforzo umano da realizzare, o soluzione a problemi concreti. È ingresso, certo non l’unico, nella comunione stessa di Dio. Mantiene il sacerdote nella consapevolezza che non è tale da solo, ma insieme ad altri confratelli e al Vescovo; è sacerdote nella Chiesa. Nessuno, infatti, “amministra qualcosa che gli è proprio – ha detto ancora il Papa – ma partecipa con gli altri fratelli a un dono sacramentale che viene direttamente da Gesù”. La vita in comune dei presbiteri può essere realizzata e vissuta in diverse forme: da incontri periodici e prolungati sino alla scelta di vivere sotto lo stesso tetto. Evidentemente, non c’è una regola. Piuttosto, si tratta di avere la convinzione che ogni forma di vivere fraterno è un aiuto concreto che il Signore dà all’esistenza del sacerdote, al fine di vivere sempre una maggiore conformazione al Maestro. Come discepolo è invitato, attraverso la presenza di altri confratelli, a convertirsi continuamente a Cristo Signore, vivendone gli atteggiamenti fondamentali. Per questo è importante che la vita fraterna sia sostenuta dalla preghiera e dalla vita sacramentale: “Se non si entra nel dialogo eterno che il Figlio intrattiene col Padre nello Spirito santo, nessuna autentica vita comune è possibile”. La compagnia di Cristo e dei fratelli nel sacerdozio è per il sacerdote una forza rigenerante, che aiuta a trovare le energie necessarie per prendersi cura degli uomini, per farsi carico dei bisogni spirituali e materiali che incontra, per insegnare con parole nuove ed adatte le verità eterne della fede. La vita fraterna dei presbiteri nelle sue diverse forme è preceduta da quella del periodo della formazione, vissuto in seminario. Questa è una forma di vita comune veramente radicale, perché lo stare insieme si accompagna ad un certo necessario distacco. Parlando ai partecipanti alla plenaria della Congregazione per l’educazione cattolica, Benedetto XVI ha ricordato “come il seminario sia una tappa preziosa della vita, in cui il candidato al sacerdozio fa l’esperienza di essere un discepolo di Gesù”. Per questo tempo destinato alla formazione, è richiesto un certo deserto affinché Dio parli al cuore di coloro che chiama. Nello stesso tempo, è richiesta anche la disponibilità a vivere insieme, ad amare la vita di famiglia e la dimensione comunitaria, che anticipa quella fraternità sacramentale, che caratterizza ogni presbitero diocesano.

AUTORE: Marco Doldi