Pasqua, festa del mondo

Commento alla liturgia della Domenica a cura di Bruno Pennacchini Domenica di Pasqua - anno C

Nella prima lettura di questa domenica di Pasqua, san Pietro proclama il nocciolo duro dell’annuncio cristiano. Molti conoscono il termine greco kèrygma, che sta diventando usuale anche tra noi italiani. Vuol dire l’annuncio del nucleo essenziale della fede. Solitamente lo esprimiamo nella formula del Credo: “Gesù… fu crocifisso, morì, fu sepolto, discese agli inferi, al terzo giorno è risuscitato dai morti”.

La Pasqua è la festa origine di tutte le feste, perché celebra solennemente quanto i credenti in Gesù proclamano con la voce. Per afferrare la ricchezza del brano degli Atti degli apostoli, proviamo a metterlo nel suo contesto. Luca, che scrisse questo libro in continuità con il suo Vangelo, al capitolo 10 narra che mentre un giorno Pietro si trovava a casa di fratelli cristiani, a Giaffa, fu mandato a chiamare. Alla porta c’erano certi militari romani che lo invitavano ad andare con loro a Cesarea Marittima, a casa del loro centurione.

Il racconto aveva già presentato questo ufficiale all’inizio del capitolo: era un pagano di nome Cornelio, credente in Dio e generoso con i poveri. Egli aveva avuto una visione angelica in cui gli era stato detto di mandare a cercare un certo Simone detto anche Pietro, che alloggiava a Giaffa, presso un calzolaio. Pietro che a sua volta aveva avuto, anche lui, una visione celeste, che lì per lì lo aveva lasciato perplesso, accettò di andare con loro insieme ad alcuni fratelli cristiani. All’arrivo trovò che lo aspettavano.

Il centurione lo invitò ad entrare in casa. Mentre varcava la porta, gli si chiarì il significato della visione del giorno prima. La voce che accompagnava la visione aveva detto: “Ciò che Dio ha purificato, non chiamarlo profano” (At 10,15). Ora era chiaro: Dio aveva purificato anche la casa di un pagano, dove, secondo la tradizione, un ebreo osservante non era autorizzato ad entrare. Ed entrò. Poi spiegò brevemente a tutti l’iniziale perplessità e chiese al centurione Cornelio il perché della convocazione. L’ufficiale rispose raccontando la visione dei giorni precedenti e domandò che cosa Pietro avesse da dirgli.

Pietro cominciò: “In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenza di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga. Questa è la Parola che egli ha inviato ai figli d’Israele, annunciando la pace per mezzo di Gesù Cristo: questi è il Signore di tutti” (At 10,34-36). Così, quasi per caso, il kèrygma fu annunciato per la prima volta ai pagani. La lettura odierna omette questi primi versetti, che in realtà segnano la storia della Rivelazione: in un primo momento sembrò che l’annuncio di Gesù Cristo fosse solo per Israele. Lo Spirito santo stava invece mostrando che esso era rivolto ad ogni uomo, a qualunque popolo, razza, lingua, cultura egli appartenga.

La Pasqua pertanto è festa non solo per i cristiani, ma per ogni uomo che abita questo pianeta. Gesù Cristo infatti “è il Signore di tutti”. Egli è colui che “ha fatto la pace”.Questa parola sarà commentata più tardi da san Paolo nella lettera ai cristiani di Efeso, che scrive: “Egli infatti è la nostra pace, colui che di due ha fatto una cosa sola, abbattendo il muro di separazione che li divideva, cioè l’inimicizia, per mezzo della sua carne… per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo” (2,14-15). I due erano gli ebrei e i pagani, che si consideravano separati da un muro invalicabile: ognuno considerava l’altro inferiore a sé, e indegno di essere preso per amico.

Ora Gesù Cristo, con la sua morte e risurrezione, ha abbattuto quel muro e i due popoli non solo si sono riconciliati, me sono diventati “un solo uomo nuovo”. Nella comunità cristiana di Efeso infatti vivevano in pace uomini e donne provenienti sia dal giudaismo che dal paganesimo. L’annuncio di Gesù Cristo aveva realizzato quella trasformazione culturale che nessuna politica o filosofia era stata in grado di operare. Pietro concluse l’annuncio nella casa di Cornelio, dicendo: “Chiunque crede in Lui ottiene la remissione dei peccati per mezzo del suo nome” (At 10,43). I due punti di forza di questo annuncio sono: “credere in lui” e “remissione dei peccati”.

Credere nel Risorto non è una scelta ideologica, ma l’incontro con Lui e la certezza della sua assoluta affidabilità: su di Lui si può scommettere la vita. “Ottenere la remissione dei peccati”: siamo poi così abituati a questa espressione che la banalizziamo, pensando in automatico a tutte le assoluzioni che riceviamo, spesso superficialmente, in confessionale. Si tratta invece della salvezza integrale. Il peccato non coincide tanto con la trasgressione di un precetto, quanto con qualcosa di molto profondo: radice malvagia che amareggia la vita, la rende sterile e incapace di entrare in relazione pacifica con l’altro. Il perdono la strappa da dentro l’anima, ci rende liberi e capaci di amare.

 

AUTORE: Bruno Pennacchini Esegeta, già docente all'Istituto teologico di Assisi