Per Veronica una devozione sempre viva: tanti i pellegrini alla sua tomba

Festa della Mistica al monastero delle Cappuccine. La celebrazione presieduta dal vescovo

Anche quest’anno molte persone hanno visitato e pregato nella chiesa e nel chiostro del monastero delle cappuccine di Città di Castello in occasione della festa di santa Veronica. In tanti hanno seguito ogni sera la novena animata da don Pietro Pepe. Per tutta la giornata di mercoledì scorso, festa della Santa, tanti hanno visitato i luoghi che custodiscono i ricordi della cappuccina, a testimoniare che, se le altezze mistiche di Veronica sono accessibili e comprensibili solo a poche anime, tuttavia essa è profondamente radicata e scolpita nel cuore di tanti devoti che visitano in continuazione la sua tomba e il suo monastero. Nel pomeriggio mons. Pellegrino Tomaso Ronchi ha presieduto la concelebrazione eucaristica durante la quale ha presentato alcune caratteristiche della vita di Veronica, a partire dal brano evangelico: “Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo. Ogni tralcio che in me non porta frutto lo toglie, e ogni tralcio che porta frutto lo pota, perché porti più frutto”. Questa simbologia fa riferimento all’unione stretta che c’è tra ognuno di noi e le persone divine. Un’unione “più stretta di quella che c’è tra la madre e il figlio che porta in grembo. Tra loro – infatti – scorre lo stesso sangue; il respiro e l’alimento della madre passano al figlio, ma il figlio non muore se si distacca dalla madre; anzi per vivere deve, ad un certo punto, abbandonare il seno materno e vivere per conto suo. Nel caso nostro – ha ricordato il Vescovo – il contrario: il tralcio non porta frutto e muore se si distacca dalla vite, vive se rimane unito ad essa”. La vita, e la vita spirituale, di ogni persona – modellata su quella di Gesù – non si sottrae a questa logica: vivere è rinunciare, essere potati. Tutto questo non ha come scopo l’annientamento di sé, anzi la certezza dell’abbondanza dei frutti. Queste sono anche le coordinate della vita di santa Veronica. “Veronica – ha sottolineato mons. Ronchi – ha accettato dal Signore le gioie esaltanti dell’estasi, come gli spasimi e le piaghe della passione; ha amato il tenero Bambino del Natale quanto il Crocifisso, anzi molto più questo; e si è distinta non tanto per la dolce e serena devozione, quanto per la liturgia della Quaresima e della passione, vissute nel corpo e nello spirito durante tutto l’anno”. In modo particolare la vita di santa Veronica è segno che “Dio ha gradito le sue penitenze e il suo amore al patire, portato ogni limite di sopportazione umana, e le ha conferito il sigillo cruento delle stimmate, perché ha voluto associarla in pieno all’opera della salvezza delle anime”. Per questo suo eroico patire, radicata comunque in Cristo, proprio come un tralcio alla vite, Veronica diventa mediatrice o “mezzana” per la conversione dei peccatori e la salvezza delle anime meritevoli di castighi eterni. Malgrado le sofferenze che patisce, Veronica è sempre convinta di essere in Dio e Dio in lei. Per questo può scrivere: “L’amore ha vinto, mi ha presa e legata con uno dei suoi legami indissolubili, dandomi per contrassegno un modo sopra tutti di patire e di accettare il patire, con un ‘sì’ di mia volontà assoluta”.

AUTORE: F.M.