Rallegratevi, Lui è vicino

Commento alla liturgia della Domenica a cura di Bruno Pennacchini III Domenica di Avvento - anno B

La terza domenica d’Avvento è chiamata tradizionalmente Gaudète, ossia “Rallegratevi”. Il titolo le viene dall’introito della messa. L’introito è il canto di ingresso, che la liturgia utilizza fin dall’antichità. Molti non hanno familiarità con questo canto, perché solitamente oggi si utilizzano altri canti per l’ingresso dei celebranti all’altare. Il testo, preso dalla lettera di Paolo apostolo ai cristiani di Filippi (4,4), dice: “Rallegratevi nel Signore sempre; ve lo ripeto, rallegratevi… il Signore è vicino”.

Il termine “rallegrarsi” è lo stesso adoperato dall’arcangelo Gabriele quando salutò la Vergine Maria; egli motivò il saluto annunciandole: “Il Signore è con te”. Paolo lo motiva affermando: “Il Signore è vicino”. L’interpretazione più ovvia di queste parole sembrerebbe essere: state contenti, ché fra poco è Natale. In realtà le parole di Paolo vanno ben oltre: la vicinanza costante di Dio alla vita dei credenti li spinge a rallegrarsi. Sapere che Dio non è lontano dalla vita di ciascuno, dalle realtà quotidiane, dai problemi, dalle sofferenze, è la vera, buona notizia di oggi per noi, dentro cui sonnecchia spesso il sospetto: ma Dio, dov’è? Veramente si interessa delle nostre beghe piccole e grandi?
L’invito a rallegrarsi percorre tutta la liturgia odierna. Nella prima lettura, il profeta Isaia, anticipando il futuro Messia, annuncia ai giudei tornati dall’esilio babilonese di essere mandato “a portare un lieto annuncio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi…” (61,1). Più avanti evoca una festa di matrimonio, in cui l’abbigliamento festivo dello sposo e della sposa diventano simbolo dell’esultanza per la vicinanza di Dio, che salva e rende giusti. A sentire questo annuncio, l’assemblea festiva, prendendo a prestito il cantico della Vergine Maria, acclama alla Parola ascoltata: “La mia anima esulta nel mio Dio”.

Nella seconda lettura, ascoltiamo Paolo che scrive una lettera ai cristiani di Tessalonica – scritta alcuni anni prima di quella ai cristiani di Filippi – dove raccomanda loro: “Rallegratevi sempre, pregate ininterrottamente, in ogni cosa rendete grazie”(1 Ts 5,16). La gioia, la preghiera, la gratitudine sono strettamente intrecciate. La gratitudine è all’inizio di ogni gioia. La pretesa, che non conosce la gratuità, è la radice di ogni amarezza. La preghiera ininterrotta non si identifica ovviamente con lo stare sempre in chiesa o con il rosario in mano, ma piuttosto con il vivere, avendo Dio come riferimento assoluto e definitivo, e grati per ogni avvenimento, che ha sempre un misterioso legame con Lui. E continua: “Non spegnete lo Spirito, non disprezzate le profezie”.

Non si tratta di profezia nel senso di predizione del futuro, ma della capacità di interpretare il presente alla luce del divino disegno di salvezza. Ma li impegna anche ad una grande apertura mentale e ad una altrettanto seria capacità di discernimento. “Vagliate ogni cosa e tenete ciò che è buono”. Vale a dire: i cristiani sono chiamati a non ignorare quanto accade nel mondo, alle novità culturali, alle scoperte… ma nello stesso tempo hanno il compito di saperli valutare criticamente. E conclude: Dio, che è assolutamente affidabile, oltre a chiamarvi, realizzerà tutto questo.
Nella terza lettura, l’evangelista Giovanni sostituisce Marco.

I primi tre versetti fanno parte del Prologo (Gv 1,6-8), gli altri (1,19-28) chiudono il primo capitolo. Il Prologo del Vangelo secondo Giovanni parla della Parola eterna del Padre, che entra nella storia, come Luce e Vita, uomo tra gli uomini. Era però necessario che, un momento prima della sua comparsa, qualcuno venisse ad annunciarlo e darne testimonianza al mondo. Toccò a Giovanni, figlio di Zaccaria, che abbiamo già incontrato la scorsa domenica. Oggi se ne sottolinea il ruolo di testimone della Luce: “Non era lui la Luce, ma doveva rendere testimonianza alla Luce” (1,8).

A proposito di testimonianza, l’evangelista riporta una sorta di “verbale interrogatorio”. Le autorità costituite, venute da Gerusalemme, lo interrogano sulla sua identità, mentre svolgeva il compito di battezzatore lungo la riva sinistra del Giordano. “Tu, chi sei?” gli domandarono. Egli, dopo aver negato di essere il Messia, o il grande profeta atteso, o Elia redivivo, dichiara di essere “voce di uno che grida nel deserto: rendete dritta la via del Signore”. Ma gli interroganti, sempre attenti alla correttezza della ritualità, non si accontentarono della risposta e vollero sapere come mai si permettesse di battezzare, lui che era solo “una voce”. A questo punto Giovanni dà il grande annuncio: Gesù è già presente nel mondo, a loro insaputa. “In mezzo a voi c’è Uno che voi non conoscete”. Anche oggi Gesù è presente nel mondo all’insaputa dei più.

AUTORE: Bruno Pennacchini Esegeta, già docente all’Ita di Assisi