Semplicità e fiducia

Ben volentieri accolgo l’invito del Direttore del settimanale ‘La Voce’ a coprire lo spazio riservato ai vescovi della Regione ecclesiastica Umbria. A pochi giorni dalla mia elezione all’episcopato non posso fare altro che condividere alcuni pensieri che hanno approfondito il dibattito della mente e affrettato il battito del mio cuore. Il primo pensiero è san Paolo a suggerirmelo: ‘Noi dobbiamo rendere sempre grazie a Dio per voi, fratelli amati dal Signore’ (2Ts 2,13). Il rendimento di grazie è, per così dire, la colonna sonora del ministero pastorale. La stessa preghiera d’intercessione trova respiro nel rendimento di grazie, che è la prima attività pastorale, la più importante.Il secondo pensiero è il profeta Isaia a indicarmelo: ‘Porta gli agnellini sul petto e conduce pian piano le pecore madri’ (Is 40,11). Portare nel cuore coloro che gravano sulle spalle è uno dei gesti più grandi della carità pastorale. Solitamente il buon Pastore viene raffigurato con l’agnello sugli omeri; a me piacerebbe rappresentarlo con l’agnello che riposa sul suo petto. Il terzo pensiero è Gesù stesso a ispirarmelo: ‘Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime’ (Mt 11,29). Mitezza e umiltà sono sistole e diastole del cuore di Cristo; mitezza e umiltà sono i due polmoni che devono ossigenare, semplificare e dilatare il cuore di chi è chiamato a pascere il gregge del Signore. Il quarto pensiero è Paolo VI a ricordarmelo: Ecclesiam Suam diligere. Si tratta di un’espressione che ho scelto come motto del mio episcopato, perché mi ricorda che la Chiesa è di Cristo, che il gregge a me affidato è Suo; io devo amarlo in modo incondizionato e insieme appassionato, ‘senza paura, senza calcoli e senza misura’. Un quinto pensiero è il Salmista a offrirmelo: ‘Mi abbandono alla fedeltà di Dio ora e per sempre’ (Sal 52,10). L’abbandono alla fedeltà di Dio consiste nel coniugare stupore e meraviglia. Lo stupore traduce una domanda: ‘Come è possibile?’; la meraviglia introduce un’esclamazione, quella del Fiat, che è l’antifona del Magnificat. Un sesto pensiero è ancora san Paolo a propormelo: ‘Vi affido al Signore e alla parola della sua grazia’ (At 20,32). Non trovo formula di benedizione più ampia non solo per salutare il popolo santo di Dio affidato alle mie cure pastorali, ma anche per congedarmi dalla Chiesa perugino-pievese, ben sapendo che ‘l’obbedienza non restringe ma allarga l’abbraccio’. Un ultimo pensiero, il settimo, è condensato in due parole, che ho ripetuto e sottolineato più volte in questi giorni: semplicità e fiducia. Mi incammino verso Foligno portando nel cuore il desiderio sincero che si rinnovi il prodigio operato dallo Spirito agli inizi della predicazione del Vangelo: ‘La parola di Dio cresceva e si diffondeva’ (At 6,7). La Vergine Maria, Madre di Grazia, anzi, Madre per grazia, mi doni la sapienza di scorgere, tra le tante foschie dell’aurora, la luce del giorno nuovo che si apre nella mia vita.

AUTORE: Gualtiero Sigismondi