Serpente contro Serpente

Commento alla liturgia della Domenica a cura di Bruno Pennacchini IV Domenica di Quaresima - anno B

A somiglianza di altre domeniche, la liturgia di oggi proclama drammaticamente l’annuncio essenziale: l’amore di Dio che salva in ogni caso, anche quando l’uomo si ostina. La prima lettura, dal libro delle Cronache, mostra che, nonostante le disobbedienze e la durezza del popolo, dopo una distruzione devastante e un congruo tempo di “penitenza” Dio perdona, suscitando un re pagano che decreterà la possibilità del ritorno a Gerusalemme. Come dire che c’è sempre una via di ritorno.

“Ritorno” appunto è la parola chiave del tempo di Quaresima. La seconda lettura, presa dalla lettera di san Paolo ai cristiani di Efeso, ci porta al centro dell’annuncio cristiano: eravamo morti a causa delle nostre colpe, ma Dio gratuitamente ci ha fatto tornare in vita, per la risurrezione di Cristo Gesù. E insiste: “E ciò non viene da voi, né dalle vostre opere, perché nessuno possa vantarsene” (Ef 2,9). La palude in cui tutti ci eravamo cacciati ci avrebbe ingoiati nelle sabbie mobili, se non fosse arrivata inaspettatamente una mano forte a trasportarci su terreno solido. La lettura evangelica è un brano di grande intensità, come capita spesso nel Vangelo secondo Giovanni. Per entrarvi non possiamo evitare di situarlo nel suo contesto. Si tratta di un colloquio/discussione provocato da Nicodemo, un fariseo praticante, che faceva parte della “casta”. Egli vuole conoscere Gesù, quest’uomo strano che non ha fatto studi accademici, ma che tuttavia parla con autorità impressionante e fa cose diverse da tutti gli altri. Lo va a trovare di notte. Andarci di giorno, data la posizione sociale, avrebbe dato nell’occhio. Comincia con un complimento: “Rabbì, tu sei mandato certamente da Dio; nessuno infatti potrebbe fare i segni tu fai… (Gv 3,2).

Gesù lo spiazza subito, portando il discorso su tutt’altro piano: “Nessuno può entrare nel Regno di Dio, se non nasce di nuovo” (3,3). Più buio che mai. Ribatte: “Come può un uomo adulto rientrare nel ventre di sua madre… come può accadere questo?”. Gesù continua a spiazzarlo: lui non può capire, perché è prigioniero dei propri schemi mentali, ma chi è nato da acqua e da Spirito è libero come il vento e può entrare in questa nuova dimensione. Infine, per arrivare al dunque, Gesù fa appello a un segno ben conosciuto dai giudei, il serpente di bronzo. Siamo al brano di oggi. Narra il libro dei Numeri (21,4-9) che, a causa delle continue ribellioni, Dio lasciò che durante la lunga marcia nel deserto incappassero in un’invasione di animali velenosi, che mordevano e uccidevano. Si pentirono e ricorsero all’intercessione di Mosè; alle cui preghiere Dio concesse il rimedio: “Faccia fondere nel bronzo l’immagine di un serpente e lo fissi in cima ad un palo; quelli che lo guarderanno con fede saranno salvi dal veleno mortale”.

Gesù afferma che similmente “il Figlio dell’uomo deve essere innalzato, perché chiunque crede in lui abbia la vita” (Gv 3,14-15). In questa ultima frase c’è la chiave per comprendere il senso della liturgia di questa quarta domenica di Quaresima: credere nel Figlio dell’uomo innalzato. A partire dal simbolo del serpente di bronzo, Gesù spiega che cosa significa credere. Credere è ritenere Dio assolutamente affidabile; Lui che ama ciascuno di noi personalmente, senza condizioni, al punto di dare suo Figlio in mano agli aguzzini, perché noi abbiamo la vita e l’abbiamo in abbondanza (Gv 10,10). Credere è l’opposto di diffidare. Fin dall’inizio della Bibbia, la figura del serpente è collegata con questa faccenda della diffidenza, del sospetto.

Tutti ricordiamo la narrazione simbolica di Genesi 3, quando Satana, nelle sembianze del serpente, introduce il sospetto nello spirito della donna e dell’uomo: “Dio non è ciò che voi credete! Anzi è un tiranno geloso, che vi impedisce di essere felici. Non date retta!”. Purtroppo abboccarono, come abboccò il popolo che viaggiava nel deserto, come abbocchiamo tutti noi: dubitare della bontà di Dio, sospettare che veramente potrebbe trattarsi di un Dio crudele, punitore, che impedisce all’uomo di svilupparsi, di realizzarsi. Gesù oggi ci dice, come quel giorno disse a Nicodemo: “Dio ama il mondo talmente tanto da dare il suo Figlio unico”.

Gesù issato sulla croce è la prova definitiva di questo amore appassionato di Dio. La nostra fede si gioca su questa scelta: ritieni affidabile il Dio di Gesù Cristo, o preferisci il suggerimento del Maligno? Tra i temi sviluppati nel Vangelo di oggi c’è quello della luce, già introdotto nel prologo: “Egli era la Vita, e la Vita era la luce degli uomini; la Luce brilla nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta” (Gv 1,5). Oggi la Luce è presentata come discriminante: rifiutarsi di venire alla luce è la vera autocondanna. Il giudizio di cui parla Gesù non è la scelta arbitraria di Dio, ma piuttosto la scelta dell’uomo, che decide di rimanere nelle tenebre.

AUTORE: Bruno Pennacchini, Esegeta, già docente all'Ita di Assisi