Sguardo sul nostro futuro

Commento alla liturgia della Domenica a cura di Bruno Pennacchini II Domenica di Quaresima - anno A

La seconda domenica di Quaresima è caratterizzata dal Vangelo della trasfigurazione del Signore, “che pone davanti ai nostri occhi la gloria di Cristo, che anticipa la resurrezione e che annuncia la divinizzazione dell’uomo”. Con queste parole, Benedetto XVI sintetizza il significato ultimo di questa Scrittura: un evento che guarda verso il futuro di Gesù e di quelli che sono di Gesù. Noi proviamo a entrare in questo testo evangelico, per altro ben noto, con la semplicità e la chiarezza possibile, a partire dal contesto. La visione della Trasfigurazione, narrata dal Vangelo secondo Matteo, si conclude con una voce che esce dalla nube luminosa: “Questo è il Figlio mio prediletto… ascoltatelo” (Mt 17,5).

La stessa voce e la stessa dichiarazione si erano udite in occasione del battesimo di Gesù al Giordano. Fra i due episodi sono accadute molte cose: ha sperimentato tentazioni sotto varie forme, folle consistenti sono accorse alla sua predicazione, un gruppo di discepoli ha preso a seguirlo stabilmente. Intanto le autorità politico-religiose si sono messe in sospetto e cominciano e tendergli tranelli. Le folle si diradano per paura e l’abbandonano anche molti discepoli. Allora Gesù comincia a occuparsi principalmente della formazione dei rimasti. E tanto per fare chiarezza, un giorno domanda loro che cosa pensavano di lui. Rispondono che secondo loro egli è il Messia, Figlio del Dio vivente (Mt 16,16).

Dopodiché comincia a parlare loro anche del suo destino: sarebbe stato arrestato, giudicato, messo a morte, ma sarebbe risorto dopo tre giorni. Lì per lì non capiscono granché, ma poi quando vedono che faceva sul serio, Pietro tenta di impedirgli di andare a Gerusalemme, dove tutto sarebbe accaduto. E si prende un solenne rimprovero da parte di Gesù, che lo chiama Satana (Mt 16,23) e gli ordina di riprendere il posto che gli compete: dietro di lui. A questo punto i discepoli erano veramente spiazzati: è mai possibile che il Messia atteso, il restauratore del regno di Davide, sia così diverso da come tutti se lo aspettavano, così debole e indifeso? Per venire incontro alla loro fede vacillante, Gesù ne sceglie tre, Pietro, Giacomo e Giovanni, perché siano testimoni di un evento straordinario, la trasfigurazione. Li conduce in disparte, su un alto monte (Mt 17,1). E lì rende i loro occhi capaci di vedere oltre.

Al di là di quanto normalmente vedevano in Gesù, fu dato loro di scoprirne la Gloria. Non fu Gesù a cambiare se stesso, ma furono i loro occhi ad avere, per momento, il potere di “vedere”. Quell’esperienza li marchiò per sempre. Pietro la ricorderà come una rivelazione fondamentale, quando, ormai vecchio, scriverà a una comunità di cristiani: “Vi abbiamo fatto conoscere la potenza e la venuta del Signore nostro Gesù Cristo, non perché siamo andati dietro a favole artificiosamente inventate, ma perché siamo stati testimoni oculari della sua grandezza. Egli infatti ricevette onore e gloria da Dio Padre, quando giunse a lui questa voce dalla maestosa gloria: ‘Questi è il Figlio mio, l’amato, nel quale ho posto il mio compiacimento’. Questa voce noi l’abbiamo udita discendere dal cielo mentre eravamo con lui sul santo monte” (2 Pt 1,16-17).

Se ne dovettero ricordare anzitutto nei giorni della Passione, quando videro quel volto sfigurato, loro che lo avevano visto trasfigurato. Del volto sfigurato a favore del suo popolo, del resto, aveva parlato anche il profeta Isaia (53,3). Ma in quel momento essi non potevano capire. Capiranno tutto dopo la sua risurrezione. Questo è il senso delle parole del Papa, quando dice che l’evento della Trasfigurazione “anticipa la Risurrezione”. Il messaggio quaresimale di Benedetto XVI aggiunge che esso “annuncia la divinizzazione dell’uomo”. Dunque la trasfigurazione del Signore è un fatto che ci riguarda; è uno sguardo sul nostro futuro. Colpisce il fatto che oggi le scienze si interessino del nostro passato remoto, come mai era accaduto prima.

Chi non sa dell’Homo erectus, dell’Homo sapiens e quant’altro? Sinceramente tutto questo incuriosisce anche me. Ma nello stesso tempo mi domando: come mai c’è tanto interesse per un passato così lontano e ipotetico, non ce n’è altrettanto per un futuro altrettanto lontano? Per la verità qualcuno ci prova: li chiamano i futurologi, che, quando non sbagliano clamorosamente, agitano fantasmi e paure di ogni genere. Mai si sentono previsioni in termini di speranza e di fiducia per l’avvenire della specie umana. Alcuni, ancora oggi, Dio gratifica di occhi simili a quelli che furono dati ai tre discepoli sul monte; solo essi ci testimoniano un futuro è pieno d’immortalità.

AUTORE: Bruno Pennacchini Esegeta, già docente all'Ita di Assisi