Sui movimenti ancora timori e sospetti

Molti vescovi e parroci restano diffidenti. Una riflessione di mons. Chiaretti, arcivescovo emerito di Perugia

Al solo parlare di movimenti nascono ancora timori per l’unità della Chiesa, sospetti di infantilismo o di fondamentalismo spirituale ed ecclesiale, addirittura di latente scisma. Bloccati da questi timori e da effettivi rischi di divisioni, anche vescovi e sacerdoti rimangono spesso titubanti, pur apprezzando il coraggio della radicalità evangelica mostrato spesso dai movimenti. Occorre però impostare il problema in altra maniera, e cioè: “In che modo e per quali vie concrete vanno rinnovati oggi l’annuncio della fede e la catechesi, perché siano sempre più capaci di generare credenti maturi e adulti, quali oggi si richiedono?”. Ed anche un altro interrogativo: “Le diocesi e le parrocchie quali esperienze concrete offrono a chi ricerca un di più che non trova in ambienti che da decenni ripetono le stesse cose di sempre, senza rendersi conto che la fede pubblicamente professata sta poco a poco sparendo?”. Convinciamoci, almeno per ragioni di evidenza, che la cultura corrente sta mettendo in crisi, rifiutandoli, sia Dio che la fede e la Chiesa; che le opposizioni consapevoli alla fede e le motivazioni addotte sono sempre più virulente e persuasive. Come testimoniare, allora, e annunciare la fede in questi contesti? Di Dio ormai per molti non si pone più nemmeno il problema. L’enciclopedia Einaudi del 1978 ha espunto la voce “Dio” (anche se ci sono le voci: dèi, demoni, diavolo, divino…) perché per la saggezza moderna Dio non esiste, è inutile, anzi è dannoso e crea complessi di paura, e con il suo fondamentalismo genera violenze e guerre. C’è solo da procedere quindi a una damnatio memoriae di Dio! Per questo nei giornali e nei libri spesso “dio” è scritto con la minuscola. Dice il teologo Sequeri: “Scriviamo dio con la minuscola e Tecnica con la maiuscola, perché abbiamo cominciato a mitizzarla, e cioè a farne un luogo accogliente per le nostre preghiere”. Si chiedeva già Solzenicyn, ricordato da Socci: “ Si può rimpiangere un regime che scriveva dio con la minuscola e Kgb con la maiuscola?”. Intendiamoci: non è che queste negazioni ci impauriscono più di tanto; sono come un mostro marino che nuota nelle acque della storia, e ogni tanto affiora. Ce lo ricordano i Salmi (14 e 53): “Lo stolto pensa: Dio non c’è”. Serve preparazione Per questa battaglia anche sociale occorre una specifica preparazione e formazione spirituale, culturale e umana, non di singoli, ma di comunità. O almeno una autentica e testimoniante santità di comportamenti, che lasci trasparire Dio: i santi, infatti, sono i più credibili testimoni di Dio. Questo percorso di approfondimento culturale e di santità personale viene favorito oggi dai movimenti ecclesiali, come un tempo lo furono fraternite e associazioni, con una formazione ad personam e in piccoli gruppi, così come avvenne agli inizi della predicazione cristiana nelle domus ecclesiae (piccole comunità radunate in una casa, come una famiglia). Si ricordi l’azione formativa a piccoli gruppi della formidabile Azione cattolica del passato, che ha generato santi autentici: da Piergiorgio Frassati ad Antonia Mesina ecc. Alle parrocchie, e quindi a vescovi e sacerdoti, è chiesto di “inventare” questi percorsi su misura per l’uomo d’oggi e per le chiese locali. Lo ha chiesto il Concilio Vaticano II, lo hanno chiesto e lo chiedono ripetutamente i Papi: da Paolo VI a Giovanni Paolo II, a Benedetto XVI, approvando ed incoraggiando i movimenti ecclesiali, che fanno certamente lavorare, ma non sono poi quelle associazioni strane che si sogliono dipingere. Papa Benedetto li ha paragonati ai movimenti religiosi del Trecento (francescani e domenicani), che hanno prodotto un’azione rigenerante nei riguardi della Chiesa. Giovanni Paolo II ha parlato in continuazione ai laici della necessità d’una “nuova evangelizzazione” da loro attivata, con il consenso dei legittimi Pastori: nuova, precisava, “per fervore degli evangelizzatori, per metodi, per linguaggi”. Laici in missioneSia Giovanni Paolo II che Benedetto XVI hanno inviato consapevolmente famiglie intere, anche popolose, nelle città più scristianizzate del mondo, perché già con la loro presenza e la loro testimonianza di vita potessero riaprire il discorso della fede religiosa. Dai resoconti delle loro missioni apostoliche (come, all’inizio, quelle di Aquila e Priscilla) si possono ricavare gli “atti degli apostoli” dei nostri tempi, dove non mancano a conferma segni straordinari dello Spirito. Il quale, in ultima analisi, è il vero “colpevole” di questo ringiovanimento della Chiesa che ci fa ben sperare, secondo quel che Paolo scriveva ai cristiani di Tessalonica: “Non spegnete lo Spirito! Non disprezzate le profezie! Vagliate ogni cosa e tenete ciò che è buono! (1Tim 5,19-21). Il vaglio lo hanno fatto Papi autorevoli come quelli menzionati, e si potrebbero citare tanti loro giudizi: perché non si dovrebbe aderire alle loro autorevoli sentenze? È chiaro anche che l’ultimo discernimento concernente la necessità o l’opportunità d’un modo di formare i cristiani è del Vescovo, ma non è accettabile l’ignoranza di quel che lo Spirito sta già facendo per conto suo, giacchè i movimenti sono tutti (o quasi) inventati da laici con percorsi diversi nelle origini, ma identici nei propositi e spesso nei risultati. Non è un caso che in questi giorni Benedetto XVI abbia istituito un dicastero speciale per la nuova evangelizzazione dell’Occidente, anche dell’Italia quindi, perché occorre fronteggiare l’eclissi di Dio e riproporre Cristo nel mondo secolarizzato. Forse anche questo problema di grande attualità può far aprire un dibattito.

AUTORE: † Giuseppe Chiaretti