Una full-immersion nella Chiesa tifernate

Esattamente un anno fa padre Domenico Cancian veniva nominato dal Papa vescovo di Città di Castello. Le sue impressioni del primo periodo in diocesi

Era il 16 giugno dell’anno scorso quando mons. Pellegrino Tomaso Ronchi annunciava in cattedrale il nome del nuovo vescovo di Città di Castello: padre Domenico Cancian. Oggi, ad un anno di distanza, ascoltiamo le sue impressioni. Un anno fa si seppe che lei sarebbe stato il vescovo di Città di Castello. Da Collevalenza a Città di Castello: come è stato il passaggio, quali nostalgie, quali ricordi”Era esattamente il 9 giugno dell’anno scorso quando mi trovai, davvero inaspettatamente, dinanzi alla lettera in cui mi si diceva che il Santo Padre mi eleggeva vescovo di Città di Castello. Ho iniziato la nuova ‘avventura’ il 23 settembre dell’anno scorso. Da allora posso dire di aver fatto una full immersion nella Chiesa tifernate che il Signore ha voluto donarmi come sposa da amare e servire. Momento di conoscenza, di ascolto, della ‘raccolta dati’ che ora sto cercando di organizzare e interpretare. Certo, la mia vita è completamente cambiata: da una parte c’è il distacco dal mondo di prima, e dall’altra la nuova esperienza, quella di vescovo immerso nella storia della Chiesa tifernate. Dono e mistero che continuano a sorprendermi’. Quali impressioni ha avuto, conoscendo la sua Chiesa. Che giudizi ha maturato sulla sua e nostra comunità.’L’impressione principale è quella di trovarmi dentro una Chiesa con una lunga e grande storia che dura ininterrottamente da quasi 18 secoli, con una quindicina di santi canonizzati o beatificati, con una straordinaria ricchezza di vescovi, sacerdoti, diaconi, religiosi e religiose, laici e associazioni che hanno testimoniato un cristianesimo vivace, con una gloriosa tradizione che merita attenzione e con tante opere di carità e di arte davvero significative. Anche la situazione ecclesiale attuale è incoraggiante sia per quello che è in atto, sia per la disponibilità che trovo nel proseguire il cammino di fede nel nostro contesto culturale’. Indubbiamente lei è un vescovo amato dalla gente. Come vive questa responsabilità pastorale? ‘Ho colto con gratitudine l’affetto, l’attenzione e la disponibilità della gente, a cominciare dal clero, dai religiosi e dai laici impegnati. Indubbiamente questo mi aiuta non poco a svolgere meglio il ministero. Mi riprometto di far tesoro anche delle critiche: pure queste mi aiuteranno a riflettere e a correggere gli sbagli. Proprio per evitare o rimediare questi, chiedo ad ognuno di mettere in atto, il più possibile, rapporti diretti, sinceri ed anche critici. Sono convinto che la vera amicizia, condizione ideale per lavorare bene insieme, si attui nella verità e nel rispetto, nel parlare chiaro senza offendere o giudicare, sempre in un clima positivo e costruttivo, tendendo insieme ai valori umani ed evangelici, nella certezza che questi promuovono il vero bene’. Ha convocato la sua Chiesa in assemblea per tracciare il cammino assieme a tutte le componenti ecclesiali. Come le è parso il cammino di avvicinamento all’Assemblea? Quali sono le urgenze da affrontare? ‘Mi pare che la preparazione all’Assemblea si sia svolta con molto interesse e grande partecipazione. Ed è un fatto sicuramente positivo. Stanno emergendo le seguenti urgenze: un’evangelizzazione più coraggiosa sia all’interno che all’esterno della Chiesa (il prossimo Sinodo ecclesiale sulla Parola di Dio ci offrirà un provvidenziale aiuto); una Chiesa ‘ comunione da rafforzare come dialogo tra le varie componenti ecclesiali e associazioni; un’organizzazione della Curia diocesana, delle parrocchie e delle attività che risponda in modo agile ed essenziale alle domande pastorali; rilanciare la catechesi, la liturgia e la carità in un programma pastorale corrispondente a ciò che ci chiede il Signore, la Chiesa e il mondo’. Come sogna che sia diventata la Chiesa di Città di Castello per quando, tra una quindicina d’anni, la lascerà al suo successore?… ‘Quanto tempo starò a Castello, lo sa il Signore. Posso dire che mi trovo bene, e che la mia speranza è quella di poter favorire una più incisiva evangelizzazione degli adulti, dei giovani, delle famiglie; una maggior comunione ecclesiale, perché da essa saremmo riconosciuti come discepoli di Gesù; un dialogo religioso, culturale e sociale col mondo di oggi; la testimonianza della carità con opere significative, a cominciare da quelle più piccole, da quelle feriali, dalle relazioni fraterne tra di noi. Insomma una Chiesa in cui si attua ancora di più il Concilio Vaticano II, che ci indica il primato della Parola, dell’ecclesiologia di comunione, della liturgia, del dialogo col mondo, avendo fiducia nel Dio-Amore e nell’uomo creato ad immagine di Dio, redento dal sangue di Cristo, segnato dal sigillo dello Spirito. Il mio motto Come io ho amato voi, che si collega a quello del beato Liviero In caritate Christi, mi spinge a far convergere tutta l’azione pastorale nella direzione dell’amore, della riconciliazione, delle opere di misericordia nei confronti dei poveri, nel coniugare misericordia e speranza per tutti’.

AUTORE: Francesco Mariucci