Un’esplosione di vita

Commento alla liturgia della Domenica a cura di mons. Giuseppe Chiaretti Domenica di Pasqua - anno C

È la prima e l’unica volta che nella storia del mondo c’è stato un morto risorto per dinamismo proprio: documentato come morto per il cuore spaccato dalla lancia di un soldato romano che voleva assicurarsi che non fosse più vivo, e documentato come risuscitato da soldati di guardia che scappano via al solo vedere un cadavere che riprende vita. Ma il Risorto è incontrato anche da donne corse al mattino presto per ungere con oli profumati il corpo dell’ucciso, che però non trovano più, per quanto fosse stato sigillato nella tomba, che esse non sapevano come dissigillare ed aprire; da due dei suoi discepoli che giungono di corsa appena appresa la notizia, e trovano il sepolcro vuoto, con i teli che racchiudevano il suo corpo martoriato “stesi a terra come un involucro sgonfio dopo aver perso il proprio contenuto”; da tutti gli apostoli riuniti insieme “alla sera di quel giorno” nel Cenacolo “per paura dei giudei”, dove Gesù entrò a porte chiuse e mostrò le mani e il fianco trapassati da chiodi e lancia, e disse loro: “Toccatemi pure e vedete se sono proprio io, il Gesù ucciso e tornato vivo”.

Non è un racconto fiabesco, ma la descrizione d’un fatto vero, unico nella storia. Per testimoniare quel fatto accertato con i propri occhi e con le proprie mani gli apostoli, ed anche il diacono Stefano, diedero tutti la propria vita con il martirio. E anche per la loro fede testimoniata, noi oggi crediamo. Ora “quel” Gesù è vivo alla destra del Padre, con la Chiesa e per la Chiesa, suo Corpo mistico, ed è vivo in ogni credente che è anche lui “Chiesa” (Ego ecclesia… dicevano i Padri) e lotta ogni giorno per la sua fede e per la libertà dal male. La Pasqua del Signore, grande evento di liberazione dal male morale e dalla disperazione, è il dies natalis di ogni cristiano: “Tutti là, in quell’evento, siamo nati!”. Chi ha partecipato alla solenne Veglia pasquale ha potuto vedere questo suggestivo trascolorare dal buio alla luce: la luce della nuova nascita, della verità, della speranza, della grazia. Santa madre Chiesa ha generato nelle acque del fonte battesimale nuovi figli, fortificandoli con il pane di Gesù, il pane eucaristico. In quell’albeggiare siamo tutti risorti e abbiamo tutti indossato di nuovo la veste candida e acceso il piccolo cero del nostro “sì” al cero pasquale, segno di Gesù risorto.

La Pasqua è un evento che rafforza e motiva il rispetto anche per questa nostra carne, morsa dalla fragilità e dal limite propri del peccato d’origine. La carezza del Risorto ci rimette in cammino e fa rifiorire la pace nella sua quadruplice dimensione: con Dio, con noi stessi, con gli altri, con la natura. Sento venirmi su dal cuore la gioia per i nuovi orizzonti che si aprono, e posso cantare finalmente il mio offertorio: è un offertorio fatto di lacrime di gratitudine a lode della gloria di Dio, inebriati dalla Sua shekinà (presenza). Grazie, Signore della vita! Questa risurrezione non è mito né poesia: è una esperienza viva, che produce svolte radicali. Le antiche tradizioni della Pasqua cristiana perdurano ancora, anche se “laicizzate”.

Com’è noto, i battezzati nella solenne Veglia pasquale continuavano, in antico, a portare per l’intera settimana la veste bianca, indossata nel battesimo per indicare la nuova identità di figli di Dio. Essi trascorrevano l’intera settimana nel far visita ai luoghi sacri, alle tombe dei martiri, agli amici di fede, con spirito ilare e senza affanni. Qualcosa del genere rimane ancora, in un contesto di gioia, tramite pellegrinaggi ai santuari viciniori, diventati laicamente “gite fuori le porte della città”. In alcuni luoghi queste sortite conservano ancora il nome, oggi diventato incomprensibile, di “passar l’acqua”, che è appunto l’acqua battesimale. Far rivivere queste tradizioni con lo spirito antico per ricordare comunitariamente il proprio battesimo non è un male. Così come è importante la riconciliazione e il perdono con le persone con cui abbiamo qualche attrito, in modo da riaprire consuetudini di vita comunitaria. Anche per questa strada di festosità religiosa la Chiesa ha operato e opera processi socialmente educativi. È diventato abituale anche tra i cattolici formulare reciprocamente auguri con il bel saluto, tipico delle comunità ortodosse: Christòs anèsti! – Alethòs anèsti!, “Cristo è risorto! – È veramente risorto!”. Alleluia!

AUTORE: Giuseppe Chiaretti