Via Rasella: fu Mussolini a volere la guerra

Ci sono argomenti che ritornano ciclicamente nel dibattito pubblico italiano, senza che venga detto mai nulla di nuovo, anche perché tutto il possibile è stato già detto. È il caso delle polemiche sull’attentato di via Rasella (23 marzo 1944) che provocò la morte di 33 militari dell’esercito tedesco che occupava Roma; e fu vendicato dai tedeschi con l’eccidio delle Fosse Ardeatine (335 vittime). Di gran lunga la più grave delle rappresaglie di quel periodo, quanto al numero degli ostaggi uccisi, ma non l’unica. Tre mesi dopo (22 giugno 1944) a Gubbio furono uccisi, per vendicare un solo tedesco ucciso, quelli che la città ricorda come i Quaranta Martiri; il 26 giugno, a Falzano, in comune di Cortona ma a pochi passi dal confine con Città di Castello, ne furono uccisi dieci.

Riguardo all’attentato di via Rasella, l’ultima polemica (per ora) è stata innescata dalle parole di Ignazio La Russa, imprecise e anche inopportune, dato il suo ruolo istituzionale. Ma è da sempre che si discute di quell’episodio: non per giustificare la terribile rappresaglia (sarebbe umanamente impossibile), ma per chiedersi come giudicare, alla luce del risultato, l’impresa degli attentatori. Dal punto di vista morale e da quello giuridico ha poco senso valutare oggi scelte fatte nel contesto di uno scontro terribile, mentre l’Italia era il campo di battaglia di due eserciti rivali che si contendevano, spietatamente, il dominio del mondo. Ha poco senso anche chiedersi – con il senno di poi – se dal punto di vista militare il danno procurato al nemico invasore valesse il prezzo di quella rappresaglia.

Non si può, insomma, dire che le Fosse Ardeatine pesino sulla coscienza di chi aveva programmato ed eseguito il fatto di via Rasella – anche se è vero che senza l’attentato non ci sarebbe stata neppure la rappresaglia. Però, risalendo lungo la catena delle cause e degli effetti, si trova davvero qualcuno che porta la responsabilità storica e morale di tutto quello che sarebbe avvenuto; perché fece – in superba solitudine – una scelta alla quale niente e nessuno lo costringeva. La scelta sciagurata di gettare l’Italia nella fornace della seconda guerra mondiale. Da lì è nato tutto il resto. Non si può dire nulla di quel periodo storico senza risalire alla responsabilità di quella scelta. Ignazio La Russa dovrebbe saperlo.

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