Collegialità a 360 gradi

DON ANGELO fanucciLa tecnologia informatica sta raggiungendo livelli di perfezione stupefacenti, che solo ieri erano impensabili. Peccato che in gran parte queste inedite possibilità di comunicazione precisa e veloce vengano utilizzate per comunicare cosucce piccole e vanesie, o insulti volgari alla Beppe Grillo.

Io cerco di immaginare che cosa questa tecnologia potrebbe permettere a noi, Chiesa, in tema di collegialità. Se si volesse finalmente attivarla a 360 gradi, questa benedetta collegialità, che fu la prima tra le principali indicazioni teologico-pastorali del Concilio, e che venne prima accolta con troppo facile entusiasmo, e poi dimenticata come un’utopia inservibile.

Un vescovo e il suo popolo, un altro vescovo e un altro suo popolo, un terzo vescovo e un terzo suo popolo… un 1970° vescovo e il suo 1970° popolo: così nasce la Chiesa. E questa chiaramente deve essere la Chiesa nelle intenzioni di Papa Francesco, così come traspare dalla sua estrema attenzione a presentarsi innanzitutto non come Papa, ma come Vescovo di Roma. “Innanzitutto”, non “solamente”.

Un vescovo il suo popolo: e tra ogni vescovo e il suo popolo quel “suo” esige una densa comunicazione bidirezionale, dove “bidirezionale” non vuol dire “paritaria” ma soltanto “seria”, cosicché il vescovo conosca del suo popolo i pensieri, i desideri, le stanchezze, i sogni e le delusioni, la felice sintonia con il Magistero e le difficoltà a digerire senza Maalox certe sue posizioni. E viceversa: che il vescovo possa aprire la sua interiorità, il suo cuore (“come ’no sportello”, diceva Pascarella) a coloro al cui servizio è stato designato. Che di lui sappiano tutto.

Solo sulla base di questo primo passo la collegialità può correttamente compiere i suoi passi successivi: tra vescovo e vescovo, tra vescovo e vescovi, tra vescovi e sommo Pontefice. La Chiesa non è una democrazia, ma una comunità, cioè molto di più; e in una comunità la comunicazione deve essere incomparabilmente più intensa che in una democrazia. E in una comunità tutti hanno diritto a essere non solo destinatari, ma protagonisti di quella comunicazione.

Ho chiesto a un mio coetaneo, un professionista molto noto: “Qualcuno dei tuoi Pastori ti ha mai chiesto che ne pensavi delle prescrizioni della Humanae vitae in tema di sessualità?”. “No”. “E come ti sei regolato?”. “Dopo qualche decina di confessioni in cui accusavo, su quel lato, sempre lo stesso peccato, magari cercando di mimetizzarlo nelle pieghe di qualche mia chincaglieria pseudo-spirituale, e me la cavavo con tre Ave Marie, ho smesso di confessarmi e, pur osservando rigorosamente il precetto festivo, mi sono tenuto lontano dall’eucarestia”. “Per quanto tempo?”. “Per molto più di 30 anni”.

Quando gli chiesero di scrivere un inno in onore del Panis angelorum, Tommaso trovò subito la rima giusta: Factus cibus viatorum. Inutilmente, per quel che riguarda quel mio caro amico.

AUTORE: Angelo M. Fanucci