Prima che diventasse un santino

“Don A’, stavolta può anticipare l’invio di abat jour di qualche giorno?”: è la Segretaria di redazione che telefona. Anticipare… e come no? Sicuro, anticipo di qualche giorno. Bene. Benissimo. Basta che dia una sbirciatina ai miei impegni di vecchio bacucco, e prendo atto con gioia che questo mi obbliga a scrivere domenica 28 ottobre. Come dire: nell’anniversario dell’elezione di Angelo Giuseppe Roncalli a Papa, con il nome di Giovanni XXIII.

Noi che lo conoscemmo prima che diventasse un santino. Noi che lo conoscemmo quando ancora eravamo fortemente prevenuti, in negativo, nei suoi confronti. Ci conquistò. E per noi che lo conoscemmo prima che diventasse un santino, le sue battute furono e rimangono sempre cariche di saggezza e di fede.

La sua prima uscita dal Vaticano ebbe come meta S. Giovanni in Laterano, che è la cattedrale della diocesi di Roma. Ricordandosi di essere innanzitutto vescovo di Roma, ripristinò un rito che non si svolgeva da tempo: ne prese possesso il 23 novembre. Fu il primo incontro con la città. La voce si sparse in un baleno, le strade che da S. Pietro portano a S. Giovanni in un attimo furono piene di gente che gridava, agitava le mani, si inginocchiava ai lati della sua automobile che per forza di cose doveva andare piano. Arrivò in ritardo. Arriverà spesso in ritardo. Con Pio XII non capitava mai: se la funzione papale era fissata per le 11, sull’undicesimo tocco dell’orologio di S. Pietro si apriva la porta e appariva il Papa. Per Papa Giovani le 11 erano “verso le 11”.

Non ci fu tempo, quel giorno, per venire al Romano maggiore, ma qualche giorno dopo lui tornò, venne da noi, ci parlò senza faccia a faccia. “Santità, c’è differenza fra Roma e Venezia?”. Si strinse nella spalle: “Bah! Canali qui e canali lì, dell’acqua lì e Dell’Acqua qui”: aveva sulla destra il card. Canali, sulla sinistra il sostituto alla Segreteria di Stato mons. Dell’Acqua.

Era una battuta. Anche, ma prima ancora era la proiezione di una fede profondissima e semplice. Quando gli baciai la mano: “Ah! Lei è di Gubbio” (glielo aveva detto il rettore Pascoli, che ci presentava uno a uno)… “Gubbio, il lupo”: ovviamente la cosa più ovvia, a Roma come a Quito (El Lobo) o a Washington (The Wolf), ma a me, mentre gli baciavo l’anello, tremavano e gambe.

“Cari figlioli, sapete che vi dico? Vi dico che le prime notti dopo la mia elezione a Papa non riuscivo a dormire. Adesso ci riesco, perché mi sono detto: ma chi sono io, in fondo? Sono il Vicario di Cristo! Allora facciamo così: il Vicario alla Chiesa ci pensa di giorno, di notte ci pensa il Titolare e il Vicario dorme! È così che ho ripreso sonno”.

Era una battuta. Anche, ma prima ancora era la proiezione di una fede profondissima e semplice.

AUTORE: Angelo M. Fanucci

1 COMMENT

  1. Un grazie sentito all’autore di abatjour per la sua preziosa presenza alla ” La Voce “da parte nostra e penso da parte di tutti coloro che lo ascoltano per l’aiuto concreto che forse inconsapevolmente ci dona.

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