Al centro il pane

Nella liturgia domenicale, a partire da domenica scorsa, XVII del tempo ordinario, s’è interrotta la lettura di Marco e per cinque volte consecutive, fino alla XXI domenica, viene dato spazio al VI capitolo di Giovanni, il ‘Vangelo dell’eucaristia’, quello che comincia raccontando (per la sesta volta nei quattro Vangeli!) quella moltiplicazione dei pani che gli esegeti hanno motivo di chiamare piuttosto la distribuzione dei pani. L’eucaristia al centro. Ovvio. Ma qualcuno di noi, tra i quali anche io, ha faticato a mettere a fuoco il senso di quel ‘al centro’. La lettura riduttiva dell’eucaristia fu uno dei buchi più vistosi della robusta formazione teologica che, prima del Concilio, ci fu ammannita nell’Efebeo Lateranense. L’eucaristia è devozione, fine e fattore di quel se devovere (dedicarsi totalmente) che la Parola ci chiede. L’eucaristia è sacramento e sintesi e fonte dei sacramenti tutti, Presenza che solo un Dio innamorato pazzo dell’uomo e insoddisfatto delle altre mille presenze poteva inventarsi. Ma il mio Armellini sottolinea che l’eucaristia, come pane condiviso, è anche una formidabile istanza culturale, il succo di un’antropologia teologica che identifica vita e disponibilità. Quando gli Israeliti penetrati in Canaan si trovarono di fronte degli omoni pelosi, muscolosi e vocianti, Giosuè e Caleb gridarono (Nm 14,9): ‘Non abbiate paura, essi sono pane per noi!’. Volevano dire: ‘Non abbiate paura, li combatteremo!’ In ebraico le consonanti del sostantivo ‘pane’ sono stesse consonanti del verbo ‘combattere’. Già, tutte le guerre sono nate dal bisogno di pane. Ma arriva il momento in cui il pane viene condiviso, e allora esso cessa di essere motivo di contesa e diviene segno eccellente di amore e fraternità. Mangiare il pane con qualcuno è riconoscerlo amico, e accordargli fiducia. Non per nulla le tensioni più forti, i rancori più velenosi si manifestano nei silenzi a tavola. Non per nulla le liti più devastanti sono quelle che scoppiano fra commensali. Gesù ha elevato a icona del Regno il banchetto, come espressione di riconciliazione (Gn 31, 53 – 54), quando tutti i suoi figli, quali virgulti d’ulivo, sederanno alla sua mensa (Sal 128,3). Il banchetto al posto d’onore vedrà i poveri, che finalmente mangeranno a sazietà (Sal 22,27). Nel 1981 la Conferenza episcopale italiana emanò un documento intitolato La Chiesa italiana e le prospettive del Paese. La parola d’ordine di quel documento era ‘Ripartire dagli ultimi’. Nella luce dell’eucaristia la vita personale e civile deve ri/partire dagli ‘ultimi’, assumere come stella polare la condizione dell’emarginato. Utopia? Certo, ma con precedenti illustri. L’inserto che trovate in questo numero de ‘La Voce’ ripropone quella speranza.

AUTORE: Angelo M. Fanucci