Al punto giusto, la martinicca

ABAT JOUR

Venerdì 5 marzo u.s. Perentorio e inatteso, il Campanone ha suonato nel gelo delle nove di sera. Era la convocazione dell’Assemblea liturgica diocesana che segnava l’inizio dell’Anno giubilare ubaldiano, l’850° anniversario della sua santa morte. Gli ascensori pubblici ci hanno portato su, fino ad un passo da quella bellissima cattedrale che i nostri maiores a suo tempo ebbero la bella idea di costruire sul punto più alto della città, in onore del Santo, ma anche a disdoro delle nostre vetuste garognole, che le difficoltà di circolazione interna rendono sempre più simili a grossi gomitoli di soffice lana merinos. Siamo saliti, ed è stata una meraviglia. La cattedrale era traslucida, il freddo pungente della sera ne evidenziava le linee purissime, le lampadine squillavano. La traccia liturgica disegnata da don Mirko era essenziale e coinvolgente. Quando, nell’aria di cristallo, lene e solennissimo si è snodato il canto che invocava l’intercessione dei santi e delle sante (pochine), dei religiosi (tanti) e dei laici (pochini) diligentemente allineati come bambini col fiocco azzurro e bambine con fiocco rosa, disposti in varie serie (patriarchi e profeti, apostoli e discepoli, martiri…) io ho soffiato verso don Amando: “Mamma mia, quanti semo!”, e lui ha ammiccato. Letture dalla Scrittura e dalla Vita di sant’Ubaldo. Invocazioni litaniche e preghiere dei fedeli. Orazioni del Vescovo e momenti di silenzio. E una chitarra straordinaria, che accompagnava la bella voce delle suorine autoctone non con la consueta tecnica della grattacacia (taratarataratà, taratarataratà, ripetuto infinite volte), ma con la consumata perizia dell’arpa, che per la piccola gioia di noi melomani di provincia, introduce “Una furtiva lacrima” nell’Elisir d’amore di Donizetti. Bellissimo. E, al punto giusto, ecco la martinicca. Quando si trattava di riproporre la durezza dei maltrattamenti subiti da sant’Ubaldo agli inizi del suo ministero trentennale di vescovo, il lettore ha glissato su quella faccia deturpata, dove il sagrestano prepotente s’era sentito autorizzato a disegnare uno sbrego grondante sangue. La martirnicca. Leeee!! Freno antico e potentissimo dell’ultimo momento.E quando, dopo le educatissime rimostranze del Vescovo nei confronti del capomastro che gli stava costruendo una fogna a cielo aperto proprio in corrispondenza delle finestra della sua stanza, il bestione lo prese a spintoni in direzione di quel suo capolavoro di maleducazione, il lettore ci ha fatto sapere che Ubaldo… cadde… nella calce. Càpite nos. Gli vogliamo troppo bene. E se, quando dobbiamo a tornare a tirare la martinicca nei momenti più critici del nostro rapporto con lui… Càpite nos. Gli vogliamo troppo bene.

AUTORE: Angelo M. Fanucci