Ancora goliardia

È una cosa seria la contestazione che ha scatenato il decreto Gelmini? Serissima da parte dei docenti. Ma da parte degli studenti (‘Gelmini, se vuoi tagliare frequenta un corso di sartoria!’)?’ Sì, sì, c’è un ritorno di fiamma della goliardia dei primi 20 anni del dopoguerra. Goliardum, latino medioevale: da Golia (il biblico gigante che Davide giovanissimo fece secco con una sassata nelle croce degli occhi) + gula, la gola. Da noi la parola goliardia già nel sec. XIV indica la vita libera e spensierata dei clerici vagantes, zuzzurelloni che oggi avrebbero la loro giusta collocazione nell’Isola dei famosi; procaci nel genio e geniali nella procacità. Non rischiavano bocciature agli esami, perché evitavano di darne. Rischiavano di brutto la cirrosi epatica. Goliardia. 1962: per accedere alla facoltà di Lettere classiche, ho dovuto procurami anche io il mio papiro: un documento cartaceo farcito di zozzerie con qualche spunto di occasionale arguzia; senza il papiro, firmato dal Grifone (lo zuzzurellone/capo) non si entra in Università. Goliardia. Al baretto di via Annibale Vecchi. Due studenti; uno seduto, uno al banco: ‘Senta, mi fa un cappuccino con una brioche?’. ‘Il cappuccino sì, ma le brioches le ho finite’. ‘Non fa niente: allora mi dia un bicchiere di latte con una brioche’. Fissandolo: ‘Allora non mi sono spiegato” e ripeteva’ ‘Non si spazientisca, mi accontento anche di un tè con una brioche’. L’esercente urlò, afono come una foca monaca, lo studente se andò, amareggiato. A questo punto entra in azione il secondo studente, quello seduto: ‘Complimenti, lei ha una pazienza davvero invidiabile. Se ero io al posto suo, gli sbattevo in faccia il vassoio delle brioches!’. La goliardia trascolorò nella contestazione con le prime occupazioni. 1968, piazza Morlacchi. Lettere è occupata (‘E cche vvo’ ddì!’). Sulla porta c’è Laffranco, Maestoso con benignità. Una sfinge; sul volto appena un’ombra di sorriso. Noi studenti gli facciamo ressa introno: come finirà? Nessuno può entrare. Ma ecco che, da Maestà delle Volte, arriva trotterellando il Professore di Latino. Un Barone patentato. Rotondo. Tronfio. La folla degli studenti si apre davanti a lui come un panino di burro davanti ad un coltello infuocato. E lui arriva a contatto con il ragazzone monumentale. Secco: ‘Si sposti!!’. ‘E perché dovrei spostarmi?’. ‘Perché io voglio entrare!’. ‘Hutch! Hutch! (compassionevole)… Voglio: ma l’erba voglio non nasce più nemmeno nei giardini del re’. Petto in fuori: ‘Lei non sa chi sono io!!’. Sinceramente incuriosito: ‘E chi è?’. Ottava superiore: ‘Io sono il professooore di latiiino”.Ora il ragazzone si rivolge a noi studenti, angelico: ‘Ggiovani! Sapete cos’è un professore?’. Coro: ‘Nooo!’. ‘E sapete cos’è il latino?’. Coro: ‘Nooo!’. E il ragazzone si china sul Barone, dolcissimo, quasi bisbigliando: ‘Vede, signore… Lei non è nessuno’. La gioia che sprizzavamo in silenzio (domani il Barone ci interroga!) era l’alba di un mondo nuovo. Quasi nuovo.’/p

AUTORE: Angelo M. Fanucci