Desolatamente piena

ABAT JOUR

L’altro ieri la santa Chiesa di Dio che è in Gubbio ha dato il suo commiato liturgico ad Araldo Vispi. Amaro. Commiato per me molto amaro, perché secondo me la chiesa di S. Agostino doveva essere gremita di gente, e invece la grande navata unica era desolatamente piena. Voglio dire che erano piene solo la panche, non il resto della chiesa; voglio dire che sulla piazza il carro funebre pareva sonnecchiare in attesa che finisse tutto. Il popolo di Gubbio, e in particolare i cristiani, dovevano ben altro a chi, nel suo seguire Cristo e nel suo servire i fratelli, non si è mai fermato un attimo. Nel nome del Padre… Per celebrare degnamente… Il coro intona Chi ci separerà? Dolcissimo, meditativo.Ma a me tornano in mente altri canti, quelli della generazione di Araldo, che precedette la mia, e a me, bambino di 10 anni con alle spalle 5 anni di onorata carriera di chierichetto, insegnò la militanza cristiana.“Udimmo una voce, corremmo all’appello, avanti la croce del Re d’Israello. Avanti! cantiamo la nostra canzone, noi siamo legione, corriamo e vinciam!”. E poi: “Bianco Padre che da Roma // ci sei meta, luce e guida, // in ciascun di noi confida, // su noi tutti puoi contar. // Siamo arditi della fede, // siamo araldi della croce: // al tuo cenno, alla tua voce, // un esercito all’altar”. E infine: “O bianco fiore, simbol d’amore, // con te la gloria della vittoria! // O bianco fiore, simbol d’amore, // con te la pace che… il cuor (bis)”: ho dimenticato la parola clou, ci ho messo i puntini. Al ritmo tambureggiante / militaresco di questi canti, 50 anni fa Araldo dette il via alle iniziative che poi non avrebbe più abbandonato: il Carnevale dei ragazzi, il Concorso dei presepi, lo stadio Beniamino Ubaldi, la promozione del Csi, dall’Ac, delle Acli, della Dc. Oggi io in chiesa non canterei roba del genere nemmeno sotto tortura, ma allora, quando ero un bambino, su queste note ha preso corpo la mia adesione a Cristo. Neanche Araldo cantò più quei ritmi, dopo il Concilio; ma cantò canti nuovi con lo stesso entusiasmo, si aprì alle nuove prospettive: fondò l’Ave (Associazione eugubina di volontariato), chiese il diaconato, primo nella nostra diocesi. Invece quel genere di canti hanno continuato a cantarli i Legionari di Cristo, ore rotundo, marcandoli, appesantendoli, rendendoli sempre più simili a un inno di guerra. Il nostro presbiterio li incontrò numerosi, casualmente, nel duomo di Orvieto. E qualcuno ne parlò con ammirazione. Talari compatte, capelli a spazzola, mascelle rettangolari. Io, nascosto nel vano della porta, li attesi all’uscita. Marciavano duri e allineati, quasi al passo dell’oca. Mi sembra.

AUTORE: A cura di Angelo M. Fanucci