Don Milani e la pre-evangelizzazione

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La scelta della pre-evangelizzazione, don Milani la fece dunque a Calenzano. I ragazzi che cominciavano a frequentare la sua “scoletta” serale dimostravano un’ignoranza totale delle grandi domande che presiedono all’individuazione del senso della vita. Predicare loro il Vangelo sarebbe stato come seminare chiodi su di una lastra di marmo. E le scorciatoie che nell’ambiente clericale si adottavano non gli piacevano “né poco, né punto”. Nel 1958 esce, con l’imprimatur e la prefazione dell’arcivescovo di Camerino mons. D’Avack, Esperienze pastorali. Una bomba all’interno del mondo ecclesiale, permaloso e incrostato di muffa. L’allora Santo Uffizio ordina che il libro venga ritirato dal commercio. E fa bene, dal suo punto di vista. Perché quel libro grida verità scomodissime. Grida lo scandalo delle parrocchie che fanno a gara con le case del popolo per guadagnarsi clienti con il ping-pong e il calciobalilla. Grida che, se la condizione essenziale atta a perpetuare il potere/dominio, sbarrando la strada al potere/servizio, è l’oppressione dei poveri, l’impegno a liberare i poveri dall’oppressione è la premessa indispensabile per impostare il discorso di quel potere/servizio che è l’anima della prassi evangelica. “Liberare i poveri”… come? Attraverso la cultura, cioè il possesso della parola basato sulla capacità di articolare correttamente i concetti. “Che sia povero o ricco, conta meno: basta che parli”: questo suo assioma costituì il primo dei temi di italiano assegnati (nel 1975?) alla maturità di tutte le scuole superiori. E nel suo pensiero, in quel momento, era tutta lì la pre-evangelizzazioneMa quando, nel 1954, il card. Florit lo sbatté a Barbiana, egli obbedì senza fiatare e vi rimase fino alla morte (1967), perché aveva maturato, credo, un altro concetto di pre-evangelizzazione, che a monte non aveva l’impegno per i poveri, ma l’impegno con i poveri. I perni della scuola post-elementare di Barbiana erano, anche nelle metodologie, assolutamente originali (il libro di testo era… il giornale), erano anche nella presa diretta con l’I care dei giovani contestatori Usa che dalla parete di fondo dava il La a tutto quanto si faceva lì dentro, ma la sua anima era quella di una scuola a tempo pieno: 365 giorni all’anno, 366 gli anni bisestili, maestro e alunni in diretto contatto tutte le ore della giornata. Milani proponeva quello che appena pochi giorni fa ha riproposto Ermanno Olmi al Festival di Venezia: “I poveri vanno accolti non limitandosi a vivere per loro, ma puntando il più possibile a vivere con loro”. Moltissimi hanno applaudito a lungo il suo cortometraggio. Gente azzimata, che non metterà mai in pratica nemmeno un iota o un apice di quell’insegnamento. Quel con è il tutto della pre-evangelizzazione della Chiesa, oggi. Teologicamente, voglio dire, prima che pastoralmente. Voglio dire, e dirò.

AUTORE: a cura di Angelo M. Fanucci