Giuliano, Omar, Giuseppe

Amico lettore, ti ho confidato che a Natale, durante la messa di mezzanotte celebrata nella mia Comunità, accanto al volto del Bambinello si è come materializzato il volto di Piergiorgio Welby. E che raffrontando i due volti, ci siamo detti, presuntuosamente: fosse vissuto nella nostra comunità, sbilenca ma viva grazie ai ‘casi’ come lui, non avrebbe ceduto alla tentazione di morire. Parlavamo a ragion veduta. Perché del nostro quotidiano hanno fatto parte Giuliano, Omar, Giuseppe: tutt’e tre affetti da variabili della malattia che ha inchiodato Welby al letto. Io con Giuliano, toscano di Camaiore, ho vissuto sotto lo stesso tetto prima a Fabriano, nella comunità ‘La buona novella’, poi per molti anni a Gubbio, dal 1974, nel Centro lavoro cultura (oggi comunità di Capodarco dell’Umbria), nota a tutti come Comunità di San Girolamo; poi Giuliano si è sposato con Antonella ed è andato a vivere con lei a Perugia, dove Antonella è diventata medico e lui ha continuato a lavorare dall’esterno con la nostra comunità, ed è entrato tra i Neocatecumenali, distinguendosi per l’assiduità e l’intelligenza del suo contributo. Omar era friulano e Giuseppe siciliano. Giuliano, per la caduta da un albero, fin da ragazzo non muoveva più nemmeno un muscolo, ma parlava molto e bene: si laureò in Psicologia a Roma, facendo avanti e indietro da Gubbio. Omar ha vissuto lunghi anni attaccato al respiratore, ma la vita comune l’ha vissuta fino in fondo, sempre tra i massimi animatori. Giuseppe la sua comunità l’ha addirittura fondata e gestita per molti anni, da presidente, grazie alla vicinanza materna e totale di Concettina, la sua insegnante elementare: Giuseppe si muoveva con la carrozzina a motore, ma era anche muto, e per comunicare aveva bisogno che qualcuno lo guardasse negli occhi e cominciasse a sciorinare le lettere dell’alfabeto: lui batteva le ciglia alla lettera giusta, e così pian piano si formava la parola. Oggi Giuliano è morto di cancro e Omar è stato ucciso dalla sua malattia. E Giuseppe, dopo la morte di Concettina, s’è ritirato a vita privata. Ma quanta vita hanno prodotto questi ‘inguaribili’! Solo perché l’ambiente quotidiano che avevano contribuito a mettere in piedi era tutto proteso a valorizzare non semplicemente la loro umanità, ma il concreto esercizio di quella umanità. Sul piano antropologico, dovrebbe essere questo – credo – uno degli aspetti peculiari del Regno di Dio, e uno dei contributi più tipici di noi cristiani alla sua costruzione: un mondo di tutti, vivibile da tutti. ‘Dovrebbe’: se non trionfasse la convinzione che basti parlarne, e coltivare in vitro i concetti giusti, calibrandone la caratura ideale con il laser. Proprio come fossero persone.

AUTORE: Angelo M. Fanucci