Gli oli più santi

Il bergamotto non è un bergamasco tracagnotto, no: è un frutto, simile ad una piccola arancia. Apparso nel sec. XVI da una felice ibridazione realizzata da un nonsochì, il bergamotto non è commestibile, ma molto profumato. Dal bergamotto si ricava un’essenza usata in profumeria e nella preparazione di liquori. Sempre più di frequente questo frutto viene prodotto nei Paesi caldi e poveri. Se volessimo riprendere il linguaggio usato da mons. Comastri a commento della Via crucis del Papa, nel recente Venerdì santo, il bergamotto ‘nasce nel mondo delle baracche e viene consumato nel mondo delle ville’; per incrementare l’odorosa levigatezza della pelle della Signora o per blandire l’impareggiabile gargamello del Signore; il bergamotto, come tante altre cose ‘nobili’, viene prodotto ‘nella stanza dove si crepa’ e viene consumato ‘nella stanza dove si spreca’. Ma stavolta il bergamotto ‘de quo’ veniva dalla Calabria ed era destinato alla Messa crismale. La messa crismale, o ‘messa degli oli’ la celebra il vescovo in cattedrale, per consacrare gli oli santi (il crisma, l’olio dei catecumeni, l’olio degli infermi) e fornirne tutte le parrocchie. Una volta questa messa veniva celebrata al mattino del Giovedì santo, ed era una lagna, e non finiva mai, ed era tutto un andirivieni di ampolle viaggianti e di ampollosi inchini ripetuti, con le rubriche ampollosamente cantate tre volte, in tono sempre più alto. Odore di santa muffa secolare. Snellita e ammodernata, la messa degli oli oggi rappresenta, col permesso dei tanti cresimandi scalpitanti che vi partecipano in massa da tutte le parrocchie della diocesi, una liturgia bella e intensa, che culmina con la rinnovazione delle promesse sacerdotali da parte dei presbiteri presenti. Quest’anno, fuori rubrica, il vescovo Mario prima di dare inizio al rito ci ha detto: ‘Questo bergamotto ce l’ha inviato da Locri il vescovo Giancarlo, perché lo usiamo per il crisma’. Un attimo di silenzio. Poi un applauso fragoroso, sotto la fuga silenziosa dei grandi archi a sesto acuto che percorrono per intero, come silenziose mani congiunte, la cattedrale di Gubbio. Don Giancarlo Bregantini, pastore dolce e forte della Chiesa santa di Dio che è in Locri. Lui che non ha esitato a scomunicare gli ignoti che hanno avvelenato i campi e incendiato i capannoni delle ‘sue’ cooperative sociali: Lui, sullo sfondo della lupara con la quale la mafia cerca di sbarrare la strada ai giovani che si ribellano al morso bestiale. Ancora il vescovo Mario, con una venatura di commozione: ‘Preghiamo anche per lui, che non debba andare ad allungare la serie dei martiri del nostro tempo’. Ho rinnovato le mie promesse sacerdotali con grande fervore. Con l’orgoglio di appartenere ad una Chiesa che qui è se stessa fino in fondo.

AUTORE: Angelo M. Fanucci