Il chiodo fisso

Ho letto sul nostro giornale il bell’articolo della Valli sui contenuti della proposta delle Chiese umbre al prossimo Convegno ecclesiale di Verona, una sintesi veloce ma succosa. Quello di Verona sarà il IV di una serie di convegni del tutto inedita per le Chiese sante di Dio che dai secoli dei secoli sono in Italia. Per secoli la loro dignità teologica e pastorale ha sofferto dell’eccessiva vicinanza della Chiesona santissima di Dio che è in Roma. Ma a partire dal 1976, convinte di essere divenute adulte, all’incirca ogni 10 anni si ritrovano insieme, in libertà, per un bilancio e un rilancio. Come rappresentante della diocesi di Gubbio, ho preso parte al I Convegno (Roma 1976), su ‘Evangelizzazione e promozione umana’, e al III (Palermo 1995), su ‘Il Vangelo della carità per una nuova società in Italia’. Ieri Antonelli (Loreto, 1985) e oggi Ceccobelli mi hanno lasciato in panchina. E hanno fatto bene, perché io non sono in grado di rappresentare la Chiesa santa di Dio che è in Gubbio, per via di un chiodo che mi porto conficcato in testa da oltre 35 anni, e che ha sclerotizzato i miei pensieri a senso unico. Un chiodo grosso così. La mia passione per la Chiesa si è dilatata negli anni, e il chiodo ne ha approfittato per penetrare sempre più a fondo. Il mio chiodo fisso è il rapporto fra Chiesa e poveri. La prima martellata, quella che conficcò il chiodo di un due dita buone nel mio ancor giovane capoccione, la vibrò Papa Giovanni, nel 1962, quando io ero ancora bravo, buono e odoroso del Sacro Crisma, un mese prima dell’inizio del Concilio: ‘Da oggi in avanti la Chiesa di Cristo sarà la Chiesa di tutti e soprattutto la Chiesa dei poveri’. Poi il discorso del card. Lercaro in Concilio, poi la costituzione Gaudium et spes e il decreto Apostolicam actuositatem, poi la Populorum progressio, poi Paolo VI e il Celam a Medellin nel 1978, poi Giovanni Paolo II e il Celam a Puebla nel 1982, poi la Cei che, con il suo documento La Chiesa italiana e le esigenze del Paese (cito a braccio), ci comandò: ‘Ricominciate dagli ultimi’. Del chiodo rimaneva in superficie solo la capocchia. Leso il nervo ottico, io non ero in grado di vedere altro. Nel frattempo avevo incontrato, in quel di Fermo, la Comunità di Capodarco, che mi aveva convinto che l’importante non è tanto vivere per i poveri, quanto vivere con loro. E che la condivisione del cuore non vale un fico secco se non diventa ‘condivisione del cesso’. M’ero anche imbattuto in certi esegeti border line, tipo Bruno Maggioni, che grosso modo sintetizzavano l’esperienza di Cristo in una sola frase: ‘Per 30 anni ha condiviso la vita dei Nazaretani, gli scemi del paese, poi per tre anni ha spiegato perché aveva condiviso’. E oggi, dopo 35 anni diconsi 35 di ‘condivisione del cesso’ coi meno fortunati, ci si mette anche un’ischemia cerebrale che, per quanto leggera, aumenta e complica il traffico nella scatola cranica’

AUTORE: Angelo M. Fanucci