Inciviltà strisciante

abatjour

“Civiltà silenziosa”, l’ultima abat jour, riassumeva la vicenda di quella ottava opera di misericordia corporale messa in atto su due piedi da un’anonima infermiera filiforme dell’ospedale di Branca, nei confronti di un anonimo prete provvisoriamente ridotto ad un verme-uomo per motivi clinici. Bene. Purtroppo però nella vita, accanto ad esaltanti episodi di civiltà silenziosa, esistono anche deprimenti episodi di inciviltà strisciante.Ricordo: quando insegnavo Letteratura italiana e latina al liceo classico “Mazzatinti”. Giugno-luglio, esami di maturità. Ero “membro interno”, cioè rappresentante della scuola nella commissione esaminatrice; gli altri cinque membri (“esterni”) provenivano dai licei di ogni parte del Bel Paese. Eravamo all’ultimo giorno di esami. Tra Gubbio e Città di Castello avevamo esaminato più di 90 candidati. Tra le candidate c’era stata – mi dicono – anche Monica Bellucci, ma io non… l’avevo notata. I miei biografi parleranno alcuni di una presenile carenza di vis visiva, altri dell’inesorabile declino della concupiscentia carnis.Luglio pieno. Verso le due del pomeriggio. Non ce la facevamo più. Un caldo bestiale, alle 14.05 di un giorno di luglio. Rimaneva una sola candidata da esaminare, ma davvero non ce la facevamo più. Entrò la donzelletta, col suo fascio di libri e di quaderni, sorrise, sedette. Si chiamava R. P. Tre anni di liceo vissuti molto bene. Esemplare, intelligentissima, solare. Un solo difetto: aveva la pessima abitudine di intercalare il suo discorso con uno degli avverbi più consunti: “praticamente”. Avevo fatto tutto quello che avevo potuto per toglierle questa pessima abitudine: niente da fare, quel “praticamente” per lei era come il cacio sui maccheroni. “Signorina, si sieda”. “Grazie”. “Senta… vuole parlarci di Giacomo Leopardi?”: faceva la domanda il commissario di Italiano, che veniva dalle Langhe, e il primo giorno della sessione di esami pareva un damerino, quell’ultimo giorno aveva la cravatta sulle 18 e 40 e la barba lunga di due giorni. “Certamente. Dunque… Giacomo Leopardi praticamente nacque a Recanati”. All’omino era saltato l’impianto frenante, visto che ribatté immediatamente: “Perché, teoricamente era nato a Porto Civitanova?”. R. P. si bloccò. Una paresi? Un ictus? Faccia statuaria, indecifrabile, occhi chiusi. Immobile. R. P. cominciò a piangere. Nemmeno una parola. Lacrime. “Signorina, scherzavo…”. Lacrime. “Vede, signorina, capita a volte che…”. R. P. intensificò il pianto. Tutti noi della commissione ci demmo da fare a farfugliare qualcosa. Il pianto aumentò ancora. Ci salvammo a nuoto. L’ho rincontrata ieri, dopo tanti anni: sempre bella, solare. E immemore (sembra) di quell’orribile atto d’inciviltà strisciante.

AUTORE: a cura di Angelo M. Fanucci