La traduzione simultanea

L’abatjour

Anno del Signore 2010, annus albo signandus lapillo. È successo qualcosa che merita il gessetto bianco: i ragazzi del gruppo residenziale nel quale vivo, il Gruppo famiglia Pierfrancesco della Comunità di Capodarco dell’Umbria, a S. Marco di Gubbio, per la prima volta mi hanno chiesto motu proprio (quanto ci azzecca questo latino!) di organizzare nel mese di maggio la recita del rosario (anzi “del Santo Rosario”). Ne sono stato felice come un bambino di campagna alla Fiera di S. Ubaldo.Grande euforia. Franchino, ad onta delle insistenze di Mattia in senso contrario, ha dormito con la corona del rosario al collo, e stamattina m’ha svegliato alle 5.30: “Oh! Ba’!”: aveva in mano i tre frammenti della corona inaugurata ieri sera. Ieri sera il rosario l’ha detto R., il quale , insieme a diversi altri malanni, a 32 anni soffre di quel particolare disturbo del linguaggio che porta a pronunciare in maniera errata alcune parole, la disartria. Per cui, prima di iniziare la recita dell’Ave Maria, ci siamo dovuti accordare con lui sulla sua corretta pronuncia: per la seconda parte dell’invocazione, la “Santa Maria, madre di Dio” non ci sono state difficoltà: R. pronuncia bene tutt’e singole le parole. Difficoltà invece ci sono state per la prima parte. C’è voluto un po’, ma ci siamo accordati su un testo di compromesso: “Ave Maria, piena grazia, il Signore è con te, Giuseppe detti fra le nostre e benedetto il seno Gesù”; per trenta volte R. ha ripetuto il suo personale arrangiamento della più amabile fra le invocazione alla Madre di Dio. Nessuno ha riso. E io… io prima ho chiuso li occhi e ho visto la Madonna sorridere, poi ho pensato a quanto sia illimitata e fragile la presunzione dell’uomo moderno. L’uomo moderno crede e dice di averla inventata lui, la traduzione simultanea; e invece in paradiso funziona da millenni, fin dal giorno dell’inaugurazione. Gli operatori addetti sono bravissimi: riescono a tradurre all’istante da tutte le lingue del mondo, compresa quella personalissima di R., compreso il dialetto horribilis della Marca Sporca. Ma questo è il meno: riescono a tradurre in preghiera anche gli sfoghi delle persone che non ce la fanno più, i loro sproloqui, le loro bestemmie. Ottaviano, dopo mesi di sofferenze inaudite a causa di un cancro di quelli feroci, morì bestemmiando. Sua figlia mi disse: “È andato all’inferno”. Angosciata. Si mordeva le unghie. No, figlia mia. Tu non conosci i parametri in uso da parte di quel particolarissimo call center che il Signore ci ha acquistato sudando sangue e morendo come un cane. Se li conoscessi, quei parametri, sapresti che anche quella era un preghiera.

AUTORE: A cura di Angelo M. Fanucci