‘Lontani’

Abatjour

La serata allestita da Fabio Fazio la sera di domenica 11 gennaio per ricordare i 10 anni dalla morte di Fabrizio de Andrè è stata per me una serata di meditazione tranquilla e profonda. Le canzoni di Fabrizio de Andrè sono state la colonna sonora della mia scelta di comunità. Il Signore mi ha portato alla decisione di condividere la vita quotidiana dei più poveri tra noi perché dessi una mano a che il nessun Miché s’impiccasse più nel buio di una fetida cella di prigione, e Marinella non scivolasse più nel fiume, e Piero potesse finalmente tirarsi su da quel campo di grano nel quale giace riverso, per avere tentato di rimanere uomo anche con il fucile in braccio, e il pescatore mantenesse per sempre, all’ombra dell’ultimo sole, quella specie di sorriso col quale aveva versato il vino e spezzato il pane ad un assassino che aveva troppo freddo e troppa fame. Fabrizio de Andrè era ateo. Ma le sue ‘canzoni della compassione’ hanno segnato la mia vita di prete più di molti sermoni, meditazioni, esortazioni, allocuzioni ‘Ma forse Fabrizio de Andrè non era ateo. Forse gli atei non esistono. Fabrizio de Andrè si dichiarava ateo con la ‘tessa incoscienza con la quale non pochi di noi si dichiarano credenti. Le vie del Signore sono davvero infinite. E ‘l’incontro con Dio’ non necessariamente è un ‘incontro col nome di Dio’. L’incontro con Dio avviene in una zona talmente profonda della coscienza che poi, risalendo da quella profondità verso la luce della razionalità, si sfilaccia, non è più a fuoco. E assume i nomi più diversi. Del resto il Signore ce l’ha detto: quando ci incontreremo faccia a faccia, quando l’entropia avrà azzerato il mondo, e alcuni di noi si sentiranno dire grazie per averGli dato da mangiare, e per averLo visitato in carcere… essi replicheranno: ‘Signore, vuoi scherzare! Come facevo a darti da mangiare se nemmeno ti conoscevo? Ero ateo. Come Fabrizio de Andrè’. Non era vero. Forse ci dobbiamo preoccupare della continuazione di quel discorso, quando alcuni di noi rischieranno il buttafuori, e protesteranno: ‘Ma noi ti abbiamo conosciuto perfettamente!’ Anzi: ‘Ti abbiamo predicato sulle piazze’. Con impianti di amplificazione da far paura a quello con cui i Pooh a Venezia sbriciolarono un frammento marmoreo del Palazzo ducale. No, niente paura! Il buttafuori resterà con le mani in mano. Niente paura perché il ‘timore di Dio’ non è la ‘paura di Dio’, ma un affetto filiale e al tempo stesso segnato dalla percezione dell’infinita distanza tra noi e Lui. Niente paura. Però i nostri teologi potrebbero dedicarsi un po’ di più alla ri-calibratura del concetto di ‘lontani da Dio’, per sapere se lo sono davvero, e quanto. ‘/p

AUTORE: a cura di don Angelo M. Fanucci