L’ospite inatteso, l’ospite giusto

abatjour

Fabriano, giovedì 28 settembre. M’hanno fatto salire sul palco del teatro Gentile, m’hanno offerto un poltroncina, m’hanno messo in mano un microfono, m’hanno chiesto…In questo ottobre scadono esattamente 40 anni da quando il primo contingente di disabili lasciò Capodarco (tra Fermo e Porto S. Giorgio) e venne ad abitare a Fabriano, in via Gentile 26, subito dietro il teatro Gentile, a fondare la comunità La Buona Novella. Clara, con quel suo unico quarto di corpo agibile, veniva a prendersi la responsabilità logistica della casa e la conduzione della cucina. Gli altri (Giulio, Antonietta, Silvana, M. Teresa) le avrebbero dato una mano, ma a Fabriano venivano a riprendere gli studi medio-superiori, che avevano dovuto interrompere a causa della loro disabilità. La casa donata doveva risultare abitata entro cinque anni, altrimenti la donazione sarebbe stata nulla, e quel 1971 era il quinto anno. Capodarco aveva ricevuto in dono il pianterreno e il primo piano di una bella casa tipo villa Amarena di Gozzano, con ampio, bellissimo giardino. L’avevano ricevuta in dono da una certa signora aspra e segaligna, un’esponente della piccola nobiltà provinciale, che decenni prima si era trasferita da Fabriano a Capodarco, ma prima di partire s’era impegnata in una specie di Guerra dei Tudor contro una sua consanguinea e la sua famiglia, che abitavano al secondo piano. Il 13 giugno 1971 partimmo da Gubbio, io e quasi tutti i ragazzi del V ginnasio, ai quali avevo insegnato nell’anno scolastico appena terminato. A Fabriano trovammo… il risultato squillante di trent’anni pieni di litigi, di accuse e controaccuse, cause legali e controcause: il pavimento era coperto da tre dita di polvere, il giardino era uno specimen di Foresta Amazzonica trapiantata nella Città della Carta. Chiedemmo subito rinforzi, e da Gubbio cominciò un flusso di volontari, che tre anni dopo si sarebbe trasferito sul monte Ansciano, nel convento di S. Girolamo, e sarebbe durato fino al 1984. Il primo giorno i ragazzi portarono via la polvere con le caldaiole da muratore, dopo essersi cautelati il respiro con fazzoletti tesi sul volto, alla maniera di Jesse James. Le ragazze cucinarono – per la prima volta – la pizza: bruciata sopra e sotto, cruda dentro. A metà estate, per un quindicina di giorni, da S. Martino di Gubbio sarebbero venuti a lavorare gratuitamente, dalle 21 a mezzanotte, una squadretta di muratori (che ovviamente la sua giornata di lavoro se l’era già fatta); e le ragazze, a mezzanotte, cucinarono per loro… i sofficini! Il Tacche disse: “Con questi, cocche, ce piastrellamo ’l bagno: per no’ fatece ’na cofena de spaghetti aio, oio e pepronicno”. Ma non per raccontare queste pinzallacchere giovedì 28 settembre ero sul palco del teatro Gentile. No, ero lì per parlare di don Milani. L’ospite inatteso. L’ospite giusto. Perché? Già, perché?

AUTORE: a cura di Angelo Maria Fanucci