L’offerta di sé del “Cristo totale”

I riti di offertorio sembrano cambiare da messa a messa: c’è chi già ha il pane e il vino sull’altare, chi lo porta processionalmente… Qual è il senso di questi riti?

Tutto nella celebrazione è importante, anche i riti di offertorio, che non sono un ‘intervallo’ tra le due mense, quella della Parola e dell’eucarestia. Celebrarli bene, senza aggiunte fantasiose ma secondo quanto la Chiesa ci ha tramandato, permette di dare ai riti d’offertorio la giusta importanza non solo strettamente rituale ma anche esistenziale.

Infatti la presentazione dei doni da parte dei fedeli esprime non solo la partecipazione dell’assemblea alla celebrazione ma anche l’offerta che ogni fedele fa di se stesso, unita all’offerta di Cristo.

Nella celebrazione eucaristica si offre al Padre il Christus totus, Capo e membra, rispondendo così al monito dell’apostolo Paolo: “Vi esorto, fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale” (Rm 12,1). Illuminante per questo sono le parole di Benedetto XVI nella Sacramentum caritatis : “Nel pane e nel vino che portiamo all’altare tutta la creazione è assunta da Cristo Redentore per essere trasformata e presentata al Padre” (n. 47).

Nella presentazione dei doni si permette di valorizzare “l’originaria partecipazione che Dio chiede all’uomo per portare a compimento l’opera divina in lui e dare in tal modo senso pieno al lavoro umano, che attraverso la celebrazione eucaristica viene unito al sacrificio di Cristo” (ibid).

I riti di offertorio iniziano con la presentazione dei doni all’altare e si concludono con la preghiera sulle offerte. All’altare, debitamente preparato per la mensa eucaristica, vengono portati – preferibilmente dai fedeli – i doni del pane e del vino che diventeranno il corpo e il sangue di Cristo, insieme ad altri eventuali doni per le necessità della Chiesa e dei poveri. Il sacerdote accoglie i doni, quindi all’altare presenta a Dio il pane e il vino con una formula di benedizione che si ispira alle antiche benedizioni ebraiche. In essa benedice Dio per il dono del pane e del vino, entrambi “frutto della terra e del lavoro dell’uomo”.

Prima di pronunciare la preghiera di benedizione sul calice, il celebrante recita a sommessa voce una breve preghiera che accompagna e spiega il gesto dell’aggiunta di acqua – poche gocce – al vino già versato nel calice: “L’acqua unita al vino sia segno della nostra unione con la vita divina di Colui che ha voluto assumere la nostra natura umana”.

Se non si fa l’incensazione dei doni, segue il “lavabo” con cui il sacerdote si lava le mani in segno di purificazione e accompagna il gesto con questa invocazione: “Lavami, Signore da ogni colpa, purificami da ogni peccato”. Originariamente funzionale alla pulizia delle mani, il lavabo esprime ormai un senso più profondo di purificazione interiore del celebrante in vista della celebrazione eucaristica che seguirà. I riti d’offertorio si concludono quindi con la preghiera sulle offerte, preparando così la Preghiera eucaristica.

Don Francesco Verzini