Le parole per assolvere i peccati

Quando, in confessionale, il sacerdote assolve il penitente, basta la formula di perdono, o è necessario qualche gesto particolare?

Parlare dei gesti e delle parole dell’assoluzione significa darci la possibilità di meditare sul cuore del sacramento della riconciliazione, lungi però dall’affermare che il rito si risolva solo nell’assoluzione.

Il primo gesto che il sacerdote compie in questa parte del rituale è l’imposizione delle mani, o della sola mano destra, sul capo del penitente. L’imposizione delle mani ha sempre a che fare con una forma di benedizione, con la potenza dello Spirito e, in questo caso, con la misericordia di Dio che si riversa pienamente nel fedele.

Questo gesto è accompagnato dalla formula di assoluzione: “Dio, Padre di misericordia, che ha riconciliato a sé il mondo nella morte e risurrezione del suo Figlio, e ha effuso lo Spirito santo per la remissione dei peccati, ti conceda, mediante il ministero della Chiesa, il perdono e la pace. E io ti assolvo dai tuoi peccati nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo”.

Nella prima parte, chiamata anamnesi, il sacerdote ricorda ciò che Dio ha compiuto nella storia della salvezza. Egli infatti, attraverso il mistero pasquale di Cristo, ha riconciliato a sé il mondo intero caduto nella disarmonia a causa del peccato.

Come dice l’apostolo Paolo nella Seconda lettera ai Corinzi (5,19), “è stato Dio a riconciliare a sé il mondo in Cristo”. Egli, inoltre, “Padre di misericordia”, unica fonte dalla quale sgorga la grazia del perdono, ha effuso lo Spirito santo per la remissione dei peccati perché l’uomo non ne rimanesse schiavo. Qui si inverano le parole del Salmista: “Lavami da tutte le mie colpe, mondami dal mio peccato.

Riconosco la mia colpa, il mio peccato mi sta sempre dinanzi” ( Sal 50,4-5). Dio Padre dona il suo Spirito perché non rimane indifferente alla conversione dell’uomo; Egli è sempre pronto a perdonare chi ritorna a Lui pentito.

Troviamo nella formula dell’assoluzione un cambio repentino del tempo verbale, da passato a presente, indicando così come la riconciliazione operata mediante il mistero pasquale si sta avverando qui e ora, nella celebrazione del sacramento, perché la volontà del Padre è che nulla vada perduto, come lo stesso Figlio afferma nel Vangelo di Giovanni (6,39): “Questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto mi ha dato”.

La formula poi continua con le parole, dette essenziali, in prima persona, con le quali però il sacerdote non agisce per conto proprio ma in persona Christi, e nel contempo traccia il segno della croce perché il battezzato ritrova nel sacramento della penitenza l’innocenza originaria, si riveste in qualche maniera nuovamente di Cristo: “Vi siete infatti spogliati dell’uomo vecchio con le sue azioni e avete rivestito il nuovo, che si rinnova, per una piena conoscenza, ad immagine del suo Creatore” (Col 3,910).

Don Francesco Verzini