Pasqua fortunata’

Se questa pallente esternazione settimanale non fosse quel chiovardo che è, qualcuno dei miei 17 lettori se la ricorderebbe, l’abat jour del 22 dicembre 2006, no? No. Era intitolata Dos ciento y treize. 213: il numero m’era arrivato per telefono il giorno prima, da Ibarra, nord dell’Ecuador, dalla Cristo de la calle (please: pronunzia cage, con la ‘g’ appena sfumata) la grande famiglia di 213 meniÈos de rua, formata alla famiglia ‘aperta’ di Francisco Santacruz e Cladia Ibandango E da una decina di altre famiglie ‘aperte’. MeniÈo de rua: un pargoletto magro, col moccolo al naso, gli occhi spauriti, quattro straccetti addosso. Una mattina, come per incanto, il meniÈo appare nella rua anonima della città distratta. Non sa da dove viene. Non sa come si chiama. Non sa chi l’ha messo al mondo. Non sa chi l’ha abbandonato in strada. La Cristo de la calle, sotto Natale, dava alloggio, affetto e una prospettiva di vita a 213 di loro. Sotto Natale io dissi: caspiterina. Pasqua fortunata. Mercoledì, 4 aprile 2007, ore 16,55. Nella cattedrale di Gubbio sta per iniziare la ‘Messa degli oli’. Ai conti miei è la 768a volta che questo accade, da quando questa calda urna di pietra viva si aprì ad accogliere il popolo orante di sant’Ubaldo. Proprio mentre sto per spegnerlo, ronza il mio cellulare. È ancora Francisco Santacruz: ‘Don Anjelo, hai qualche soldino da mandare?’. (Anjelo: stavolta please quella ‘g’ va appena gutturalizzata: usare solo le corde vocali di destra). Qualche soldino? Sì, la Fondazione Baldassini continua a raccoglierli; Barbara e Beatrice alla Lumsa hanno messo insieme un due/tremila euro con la ‘Campagna torroni’ di Natale, ‘Dagli Appennini a Yuyucocha’. ‘Ce ne ho un mucchietto, sì, e te li mando domani. Ma, senti, Francisco’ i tuoi meniÈos de rua ‘ quanti sono, oggi?’. ‘Dos ciento y cinco’. Pausa. ‘Solo 205?!’. ‘Solo’: m’è sfuggito. E Francisco: ‘Ma, sai, don Anjelo, abbiamo ottenuto la chiusura del Carcere minorile di Ibarra, e i ragazzi che erano dentro li abbiamo preso tutti noi’. Pasqua fortunata. L’ho visitato, quel carcere. 10/12 ragazzi che si rosolavano al sole, senza aver mai nulla da fare, senza nessuno che si occupasse di loro, con un perizoma ai fianchi. In attesa di essere promossi da delinquenti apprendisti a delinquenti professionisti. Quelle sbarre di ferro. Quei pagliericci. Quei materassi sventrati. Una stalla. Oggi sono tutti con Francisco e Claudia. Tutti.

AUTORE: Angelo M. Fanucci