Paturnie pseudo-teologiche?

Abatjour

Oggi è mercoledì, e si riunisce la mia ‘Zona pastorale’. Lippis tonsoribusque notum est: per dire ‘Lo sanno tutti’ i Romani dicevano (chissà perché, poi!?) che ‘Lo sanno anche i guerci e i barbieri’; anche alla virata del terzo millennio i guerci e i barbieri sanno che le parrocchie, sulla scia del Concilio Vaticano II, tendono a raggrupparsi in ‘Zone pastorali’. Oggi alla riunione della mia zona pastorale non posso esserci. Me ne dispiace, soprattutto perché il nostro coordinatore, don Mauro Salciarini, ha scritto nel testo della convocazione: ‘Quanto a me, desidererei ancora una volta sottoporre alla riflessione comune la necessità di un risveglio del Sacramento della Riconciliazione’. Il tema mi coinvolge profondamente. Non ci sarò, ma lascio ai mie confratelli questa pallente abat jour, a titolo di contributo alla ‘riflessione comune’. Il tema mi coinvolge come sacerdote che deve ascoltare i peccati altrui. Non mi va. Non riesco a ‘cancellare’ dalla memoria la confidenza a volte molto delicata che un fratello carissimo mi ha fatto in confessione. Lo pensavo padre esemplare, e invece tradisce sua moglie. Lo pensavo funzionario integerrimo, e invece ruba a man bassa. Ha promesso di …, certo. Ma anch’ io, a ruoli invertiti, ho promesso di … ad un altro prete come me. Tante volte. Troppe volte. Quando Berta filava vivevamo più appartati, noi preti; oggi siamo sempre in giro per il mondo, e incontriamo caterve di gente. E, per quanto mi riguarda, quando, girando per le strade del mondo, incontro quell’amico ‘ : strette di mano, abbracci. Ma il problema è la potenza radiografica della mia memoria. L’ho sepolte sotto terra, quelle auto/accuse, ma i raggi X arrivano anche lì. Il tema mi coinvolge soprattutto come dilettante di teologia sacramentaria. Questo Sacramento ci è giunto come Tribunale della penitenza: era il linguaggio della Controriforma. Un piccolo processo, regolato da un piccolo codice di procedura; almeno una volta l’anno e a condizioni ben definite, una in fila all’altra: esame di coscienza, dolore, proponimento, confessione, penitenza. Ma che c’entrava Dio con tutto questo? In ogni sacramento è solo Lui il protagonista, ma qui interveniva solo alla fine; per ‘erificare che tutto si è’volto correttamente; nel qual caso mette il suo timbro, l’Ok del segno di croce, a conferma dell’avvenuta remissione. Controllore. Il perdono dipende solo dalle disposizioni interiori del penitente e dal giudizio del confessore. Ma oggi la teologia ci dice non solo che il perdono del Signore è gratuito, ma che precede il pentimento dell’uomo. Niente timbri di garanzia. Niente convalide. Confessarsi suppone il prendere atto che Dio ci ha già perdonato, e progredire nella scoperta ammirata di come Lui vede le cose, compreso i nostri peccati. E convertirsi. Che è poi l’anima vera della preghiera.

AUTORE: Angelo M. Fanucci