Pieno di me, vuoto di Lui

abatjour

Un’esperienza unica. A ripensarla oggi, m’appare sospesa nel cielo, senza un prima, senza un dopo. Cominciò su tutt’altra chiave quando, nel 1970, m’innamorai di Capodarco e dell’alto profilo del suo progetto di auto-riscatto degli emarginati. Innamorato perso. L’anno dopo, estate 1971, con i miei ragazzetti della V B del liceo ginnasio Mazzatinti, che avevo adeguatamente gasato tra un distico elegiaco e l’altro, rendemmo abitabile entro tre mesi una bellissima casa patrizia, abbandonata da decenni, al centro di Fabriano, in via Gentile 26. Potemmo farlo perché presto vennero a lavorare con noi a Fabriano ragazzi e ragazze più grandi, e ogni tanto un eugubino di razza adulta prese a fare capolino, lasciando qualche scudo con cui pagare un paio di muratori professionisti… Anche dal quartiere di S. Martino vennero muratori di prima classe, gratis, dalle 21 alle 24, dopo una giornata pesante.La mia immagine agli occhi degli eugubini si dilatò, e io presi a gongolarmi dentro quella livrea di profeta da angiporto e di stronzetto provinciale che mi rimane ancora appiccicata addosso. Poi, il 17 maggio 1974, da Fabriano arrivammo al S. Girolamo di Gubbio in quattro. Con a capo Clara, la sua grinta di ferro. Handicappata? Pare. Così dicono le carte. Da quel momento un vero fiume di giovani, tra il 1974 e il 1984, salì a S. Girolamo. E non pochi di loro si fermarono per periodi lunghi, anche molto lunghi. Con alcuni di loro ci siamo riuniti il 18 giugno u.s. a S. Girolamo in suffragio di Gianni Cecchini, il più generoso di tutti: è da poco che il cancro se l’è portato via. Era nel giugno del 1974 quando Gianni chiese se poteva fermarsi a lavorare con noi un paio di giorni: si fermò fino al novembre del 1976. A 10.000 £ al mese, come tutti. Con quelle 10.000 £ al mese il mio sciocco integralismo li metteva alla prove, chiedendo loro quello che non si può chiedere nemmeno ad un frate formato a tre digiuni la settimana, più tre fustigazioni al giorno. Li ho messi alla prova e li ho stancati tutti. Ma quella sera del 18 giugno 2011, a S. Girolamo ho chiesto loro perdono, dall’altare. Se avessi avuto quel minimo di umile sapienza per elaborare con loro dei progetti intermedi, personalizzati, meno gratificanti per me, meno feroci per loro, oggi da queste parti la lotta all’emarginazione sarebbe avanti anni luce. Oggi invece, tra quelli che operano nella mia Comunità, nessuno sa nulla dei ragazzi d’allora, “quelli che fecero la pampa”. Li misi alla prova, li stancai, tutti. Al di là di tutte le apparenze, ero troppo pieno di me stesso e troppo vuoto di Dio. Quella sera del 18 giugno 2011 ho chiesto loro una preghiera: che il Signore mi conceda il tempo e la volontà di svuotarmi di me e di riempirmi di Lui.

AUTORE: Angelo Maria Fanucci